Prezzi alti e crescita bassa. È il mix mortale che sta facendo boccheggiare l'industria siderurgica europea, Italia non esclusa. E la recente decisione dei giganti minerari di passare da contratti annuali a benchmark trimestrali non fa che peggiorare la situazione.

Il mondo dell'acciaio oggi è spaccato in due: da una parte mercati voraci, che fanno incetta di materia prima a prezzi sempre più elevati per soddisfare una domanda in crescita. Dall'altra economie regionali molto meno toniche, appesantite, in difficoltà nel trasferire sui prezzi di vendita gli aumenti dei costi decisi, a monte, da pochi soggetti ormai totalmente globalizzati, come i big minerari Bhp Billiton, Vale e Rio Tinto.

L'allarme è stato lanciato da Fabio Riva, vicepresidente dell'omonimo gruppo, qualche giorno fa. Siamo messi nell'angolo – ha detto in un'intervista al Sole 24 Ore –, questi rincari non sono nè tollerabili industrialmente, nè sostenibili finanziariamente. Ora anche Acea (l'associazione europea dei produttori di automobili) corre ai ripari, e chiede alla Commissione europea di attivarsi, denunciando rincari fino all'80 per cento. Gli improvvisi e massicci aumenti del prezzo del minerale di ferro – si legge in una nota – si ripercuoteranno sulla competitività dell'industria manifatturiera, auto inclusa. Acea reclama la necessità di avere ampio accesso agli approvvigionamenti di materie prime, e a costi competitivi, «specialmente in una fase di fragilità economica» come l'attuale. A sua volta Eurofer, l'associazione siderurgica europea, chiede all'Ue di intervenire contro le speculazioni sulle materie prime, e di supportare nel lungo periodo la catena del valore dell'acciaio europeo: milioni di posti di lavoro in Europa – spiega l'associazione – sono messi a rischio dall'eccessiva concentrazione nel settore minerario.

«Dovrebbe essere il Wto a intervenire – spiega Antonio Gozzi, amministratore delegato di Duferco Group –: siamo di fronte a un comportamento scorretto, un oligopolio stretto non sanzionato. Eurofer si sta muovendo bene, ma per il resto, è un tipico caso di incapacità di gestione della globalizzazione. L'unica cosa certa, in questo momento, è che la siderurgia europea si sta avviando verso una veloce riconfigurazione: sopravviverà solo chi sarà in grado di collegarsi a sistemi proprietari di minerale e di carbone».

La situazione coinvolge gli altiforni, che devono mettere a terra mesi di minerale senza conoscere il prezzo dei prodotti finiti. Gran parte dell'industria italiana, che con i forni elettrici utilizza come materia prima il rottame, è investita solo indirettamente dalla questione. Ma questo non significa che possa stare a guardare: il prezzo dei prodotti finiti ne è comunque influenzato. «Il mercato diventerà sempre più frenetico, più nervoso, esposto a speculazioni – conferma Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai e leader del gruppo Feralpi –. Tutto questo non fa che aggravare la situazione, a danno del consumatore finale. Siamo di fronte ad un oligopolio che condiziona il mercato».

I problemi dell'industria siderurgica rischiano ora di ricadere a valle. Innanzitutto sugli anelli intermedi della filiera e poi, a cascata su gran parte dell'industria manifatturiera. Per Michele Ciocca, presidente di Assofermet acciai (l'associazione dei commercianti siderurgici) «i maggiori costi sono già scaricati sulla distribuzione. Registriamo aumenti del 50% rispetto ai minimi dell'anno scorso e ora ci attendiamo almeno un 55%-60%. Ovviamente all'interno di questa dinamica la speculazione mineraria gioca un ruolo determinante».

Alla fine della catena, saranno i produttori di congelatori industriali, di macchine per l'industria alimentare, di pompe, a soffrire. «Dobbiamo già subire i costi elevati dell'energia – lamenta Sandro Bonomi, presidente di Anima, l'associazione che raggruppa i produttori dell'industria meccanica –. Se ci aggiungiamo anche la speculazione, siamo spacciati». Anima ha lanciato con Orgalime, la sua omologa europea, un appello alle principali autorità. «È necessario agire subito, anche a livello dei singoli stati membri – spiega Adrian Harris, direttore generale di Orgalime –. Per essere competitivi abbiamo bisogno di una filiera competitiva».

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