Da quando i marines lo avevano costruito, nell'aprile del 2006, il Korengal Outpost (Kot), situato nell'omonima valle della provincia di Kunar che si allunga verso il confine pakistano, era diventato l'avamposto simbolo della guerra contro i talebani. Al pari del distretto di Sangin, a Helmand, questa piccola area montuosa, ribattezzata dai soldati che l'hanno faticosamente presidiata "Valle della morte", ha registrato gli scontri più sanguinosi con ben 42 caduti e centinaia di feriti statunitensi.

Perdite vane dopo la decisione del generale Stanley McChrystal di abbandonare il fortino intorno al quale gli scontri si erano intensificati dopo la battaglia di Wanat, nella provincia del Nuristan, dove nel luglio 2008 morirono nove soldati e una cinquantina di talebani. Lo scontro più sanguinoso sostenuto dagli americani in Afghanistan, dopo il quale il comando alleato decise di abbandonare quella postazione. Un successo rivendicato dai talebani che da allora hanno intensificato gli assalti ai Combat Outpost, difesi da una cinquantina di soldati americani affiancati da truppe e poliziotti afghani, prendendo di mira soprattutto quello di Korengal.

Il ritiro annunciato ieri fa seguito all'abbandono di alcuni dei circa 80 avamposti sul confine col Pakistan e risponde alla strategia di McChrystal per concentrare le truppe nelle zone più densamente popolate. Difficile però non considerare una sconfitta la rinuncia a controllare le aree rurali e montuose più impervie, che costituiscono le principali vie utilizzate dai talebani che hanno le loro basi nell'area tribale pakistana. «Il ritiro da Korengal era nell'aria già dall'autunno scorso - conferma Nico Piro, il reporter del Tg3 più volte embedded con le forze americane in quell'avamposto - ed è stato al centro di un acceso dibattito per il suo impatto negativo sul piano mediatico e simbolico». L'Isaf sostiene che la chiusura dell'avamposto non impedirà alle forze alleate «di rispondere con rapidità a crisi nel Korengal», ma è evidente che senza truppe sul terreno sarà molto difficile mantenere una forma di controllo su una zona abitata da 4.500 persone, per lo più boscaioli wahabiti dediti al contrabbando di legname.

Secondo il maggiore delle forze speciali James Fussel, che ha combattuto nella zona per due anni, la presenza militare statunitense ha rafforzato gli insorti. «Prima i talebani o i membri di al-Qaeda transitavano attraverso la valle ma la popolazione non faceva parte dell'insurrezione, ora invece ne fa parte perché era pronta ad accettare ogni aiuto per cacciarci via». Chiudere l'avamposto, scrive Alissa J. Rubin sul New York Times, è una «tacita ammissione che fu un costoso errore stabilire una base in questo posto», mentre i vertici militari afghani non la pensano in questo modo e sembrano scettici nei confronti della nuova strategia statunitense. «Non solo Korengal, ma ogni area che viene abbandonata è un vantaggio per i talebani», ha spiegato un funzionario del ministero della Difesa chiedendo l'anonimato.

Anche i sovietici, a metà degli anni 80, adottarono la strategia di concentrarsi nei maggiori centri abitati, riducendo il numero dei caduti ma perdendo il controllo delle aree rurali, attraverso le quali gli insorti arrivarono ben presto a minacciare le città. Il ritiro dal Combat Outpost Korengal «è una grande vittoria e le truppe americane sono fuggite grazie ai nostri costanti attacchi» ha affermato Zabihullah Mujahed, portavoce dei talebani aggiungendo che «l'area è molto importante per noi. Queste montagne sono un buon nascondiglio e possono essere usate per l'addestramento».

AL CONFINE PAKISTANORitirata o riposizionamento?
La valle di Korengal, impervia regione montagnosa poco abitata della provincia di Kunar, vicino alla frontiera pakistana, è stata ribatezzata la «valle della morte»: è costata infatti la vita a ben 42 soldati americani. Il ritiro delle truppe Usa, stando ai comandi americani, fa parte di un complessivo riposizionamento nel paese nell'ambito della nuova strategia del generale McChrystal. I talebani esultano e interpretano il ritiro come una vittoria.

 

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