Si conclude con un nulla di fatto il faccia a faccia tra il segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner, e il vicepremier cinese con le deleghe per la finanza e il commercio, Wang Qishan. O almeno così hanno voluto dare a intendere i due protagonisti dell'incontro a sorpresa svoltosi ieri sera in una Vip Lounge dell'aeroporto di Pechino (i tempi erano strettissimi, perché la trasferta cinese non era nell'agenda del viaggio in Asia di Geithner), convocato per discutere i numerosi dossier che negli ultimi mesi sono diventati fonti di contrasto tra Cina e Stati Uniti. Tra questi, ovviamente, il tasso di cambio dello yuan.

Ieri sera, al termine di un colloquio durato oltre un'ora, l'ambasciata americana a Pechino ha emesso un laconico comunicato spiegando che Geithner e Wang «hanno avuto uno scambio di opinioni sulle relazioni economiche tra Cina e Stati Uniti, sulla situazione della congiuntura globale, e sui temi di dibattito del prossimo dialogo economico strategico in programma a fine maggio a Pechino». A metà aprile, inoltre, ci sarà un incontro bilaterale tra Barack Obama e Hu Jintao nell'ambito del vertice sulla sicurezza convocato a Washington.

Se gli americani sono stati laconici sull'esito dell'incontro tra Geithner e Wang, i cinesi si sono trincerati nel più assoluto mutismo. La decisione improvvisa del segretario al Tesoro Usa di fare tappa a Pechino (era in India), e la linea del silenzio adottata di comune accordo tra le due superpotenze non può che amplificare le voci su un'imminente rivalutazione dello yuan. Voci che ieri sono state rafforzate da un articolo del New York Times, secondo cui «un modesto, ma immediato apprezzamento del renminbi è ormai sicuro». I mercati hanno dato credito all'indiscrezione del quotidiano americano, come dimostra l'ennesimo rialzo dei non-deliverable forward (Ndf). «Un giornale straniero solitamente è poco attendibile per anticipazioni di questa portata su questioni domestiche cinesi - sostiene un operatore valutario - ma in questo caso, bisogna tenere presente che il New York Times è stato il primo organo di stampa al mondo a riferire del rinvio del rapporto americano sulla presunta manipolazione del tasso di cambio cinese. Ciò vuol dire che sull'argomento il giornale ha buone fonti».
Tutto pronto, dunque, per il tanto atteso sganciamento dello yuan dal peg con il dollaro? Probabilmente sì. Sulle modalità dell'addio all'ancoraggio con la valuta americana in vigore dall'estate 2008, però, le ipotesi sul tappeto sono molteplici.

Se fino a qualche giorno fa gli analisti tendevano a escludere un apprezzamento secco dello yuan, come il +2,1% varato nel luglio 2005 quando la Cina sganciò la sua moneta dal peg decennale con il dollaro, negli ultimi giorni molti di loro hanno cambiato idea.
Mentre cresce l'attesa per l'annuncio di Pechino (nel fine settimana, a mercati chiusi?), diversi osservatori sono pronti a scommettere sul fatto che alla fine prevarrà la stessa formula adottata nel 2005. E cioè rivalutazione secca (ma non superiore al 2%) e ripristino immediato della doppia banda di oscillazione quotidiana sul dollaro e sul misterioso paniere valutario di cui le autorità monetarie cinesi non hanno mai svelato la composizione.
Grazie a questo meccanismo, in tre anni (dal luglio 2005 all'estate 2008, quando la Cina decise di riagganciare la propria moneta a quella americana) il renminbi si è rivalutato del 21 per cento.

Yuan forte? Dialogo necessario

 

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