La Cleggmania è evaporata alla fredda luce dell'alba di ieri. Nel chiuso dell'urna, messi di fronte alla scheda, due elettori britannici su tre hanno scelto ancora quelli che il leader liberaldemocratico ha definito «i vecchi partiti». Nick Clegg si trova così come previsto ad essere l'ago della bilancia di questo anomalo dopo-elezioni, ma senza il forte mandato che si attendeva.

La sua ardita speranza di aumentare i voti per i liberaldemocratici facendoli diventare il secondo partito è andata delusa. I LibDem restano la terza forza con il 23% dei voti e hanno addirittura perso 5 seggi rispetto alle elezioni del 2005, conquistandone solo 57. Clegg lo ha ammesso: il risultato è stato «deludente». La sua spiegazione è che gli elettori, intimoriti dalla crisi economica, hanno perso un po' di coraggio.

Resta da capire perché alla fine Clegg non è riuscito a tradurre la sua improvvisa popolarità in voti per il suo partito. Grande rivelazione del primo dibattito televisivo tra leader politici, il giovane e sconosciuto liberaldemocratico era diventato in poche ore il politico più amato del paese. Poche settimane più tardi, sembra che pur avendo presentato se stesso con grande abilità e charme, Clegg non sia riuscito a "vendere" le politiche dei liberaldemocratici. I sondaggi, accurati come non mai, avevano indicato un'inesorabile flessione nei consensi per i LibDem negli ultimissimi giorni prima del voto.

Molti imputano il risultato elettorale al partito e al suo manifesto che, come aveva detto sprezzante Gordon Brown, sembrava frettolosamente scritto su un tovagliolo di carta. Alcune politiche, come il filo europeismo, sono sembrate inaccettabili ai più e altre, come la decisione di rinunciare a un deterrente nucleare indipendente, sono apparse pericolose. Il messaggio degli elettori sarebbe quindi che i LibDem sono un partito da non prendere troppo sul serio, per quanto carismatico possa essere il loro leader.

Secondo altri invece la colpa è da attribuire proprio a Clegg. Il successo televisivo è stato dovuto alla sua eloquenza e disinvoltura, ma anche in gran parte all'effetto novità: distinguendosi nettamente dagli altri due contendenti, Clegg ha offerto la speranza di una politica diversa. La speranza, secondo questa interpretazione, si è rivelata un'illusione quando il leader LibDem dopo il successo del primo dibattito ha mostrato segnali di un'arroganza degna di un vecchio partito. Come quando ad esempio ha avvertito Brown di non sperare di rimanere premier con il Labour relegato a terzo partito, escludendo un sostegno LibDem. O quando ha dichiarato che un accordo sulla riforma elettorale sarebbe stato una conditio sine qua non per qualsiasi trattativa con i Tories. Dichiarazioni premature e avventate che potrebbero avere raffreddato la Cleggmania collettiva dell'elettorato.

Oggi, catapultato nel ruolo di arbitro tra partiti, apertamente corteggiato da destra e da sinistra, il leader LibDem ha all'apparenza un grande potere. La performance deludente del partito gli impedisce però di negoziare da una posizione di forza. Clegg è un kingmaker senza regno, senza trono e senza scettro.