Gli spunti che vengono forniti dalla relazione del Comitato di esperti rivestono un certo interesse, almeno per il carattere innovativo che li caratterizza. La contrattazione collettiva esce molto valorizzata dal rapporto. Il cambiamento in atto nell'organizzazione del lavoro, l'impatto della società della conoscenza, l'emersione di nuove tipologie contrattuali, tutto questo richiede un dialogo tra le parti sociali capace di produrre regole innovative e flessibili. La formula dei flexicurity agreements, ben sperimentata in Olanda, appare sempre più urgente se si vuole assicurare competitività al modello sociale europeo, miscelando intelligentemente sicurezza e flessibilità.

Il contenuto delle regole è ovviamente decisivo, anche se occorre innovare innanzitutto nelle tecniche regolatorie. Non sempre le parti sociali (a livello comunitario ma anche nei contesti nazionali) riescono a dare il meglio concordando le tradizionali clausole contrattuali a contenuto precettivo, si fa quindi strada l'idea di quelli che in gergo comunitario sono denominati voluntary agreements, cioè intese che non hanno un effetto vincolante ma presuppongono ulteriori accordi, collettivi o individuali, che siano. Il precedente in tema di telelavoro è senza dubbio un'esperienza pionieristica a livello comunitario che potrà essere replicata auspicabilmente a livello nazionale.

Ma non è tutto. Il gruppo di alta riflessione raccomanda anche di sperimentare il "metodo di coordinamento aperto" estendendolo alle relazioni industriali. Si tratta di una tecnica ormai ben nota in quanto da oltre quattro anni consente il coordinamento delle politiche occupazionali dei 15 Stati membri dell'Unione Europea. Ormai termini come benchmarking, trasferibilità di buone pratiche, follow-up con monitoraggio di indicatori, sono diventati familiari. L'idea di fondo è quella di fare del dialogo sociale un processo di continuo apprendimento, così da giungere ad un coordinamento su base volontaria dei sistemi nazionali di relazioni industriali.

Il rapporto sul futuro delle relazioni industriali è però ancora più ambizioso e guarda all'elemento della qualità come fattore chiave per rendere i sistemi europei davvero competitivi. Di qui la scelta di proporre 14 indicatori o criteri che dovrebbero caratterizzare un sistema di relazioni industriali di buona qualità. Occorre che le parti sociali promuovano l'occupabilità dei lavoratori, il loro invecchiamento attivo, la formazione continua per bilanciare le nuove flessibilità contrattuali, l'integrazione occupazionale dei soggetti a rischio di esclusione sociale, la piena affermazione del ruolo della lavoratrice. Per ottenere tutto questo (e altro ancora) occorrono parti sociali altamente rappresentative, in grado di progettare accordi innovativi che esaltino la partecipazione dei lavoratori ed evitino l'ingenerarsi di situazioni conflittuali.

Alcune di queste proposte potranno sembrare irrealizzabili, forse irrealistiche, ma le parti sociali condividono con i Governi di tutta Europa una grande responsabilità. Sta a loro riuscire a rinnovare le relazioni industriali per rendere i rapporti fra imprese e lavoratori maggiormente competitivi. Di questo bisogna parlare oggi, anche e soprattutto in Italia, abbandonando per sempre l'inutile liturgia conflittuale del passato.


 

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