Anche in materia di lavoro la riforma costituzionale sul federalismo potrà ingenerare un'autentica rivoluzione. Se fino ad oggi siamo stati abituati a pensare che l'intervento pubblico in materia di mercato e rapporto di lavoro fosse di esclusiva pertinenza statale, da domani tutto questo cambierà. Generazioni di giuristi del lavoro, ma anche di operatori aziendali e sindacali, dovranno rivedere la loro prospettiva. Nel nuovo assetto costituzionale la visuale viene completamente capovolta e le Regioni diventano in questa materia le vere protagoniste.

La chiave di volta della riforma è contenuta nel nuovo articolo 117 della Costituzione, così come sostituito dalla nuova legge. La regola generale è ora quella per cui fra le "materie di legislazione concorrente" occorre considerare la "tutela e sicurezza del lavoro". Si tratta certamente di una formula che può lasciare a prima vista stupiti ed increduli, tanto da far pensare a un infortunio in cui sia incorso il legislatore costituente. Si sarà voluto far riferimento alla "tutela della sicurezza del lavoro"? Non a caso un appello sottoscritto da insigni giuslavoristi qualche tempo fa invitava a rivedere in tal senso il progetto di revisione costituzionale. Ma, si sa, in questo genere di riforme con doppia lettura parlamentare il testo originario percorre necessariamente "blindato" l'intero cammino parlamentare. E così ci troviamo una formula che recita nel senso che si è riportato.
Il legislatore costituente si è espresso in un modo di cui occorre doverosamente prendere atto. Fra l'altro è ben chiaro che lo Stato ha mantenuto competenza esclusiva a legiferare su varie materie fra cui è citata espressamente la "previdenza sociale".

Invece per quanto si riferisce alla "previdenza complementare ed integrativa" si transita al regime di legislazione concorrente, così come per la "tutela e sicurezza del lavoro". Il senso interpretativo da attribuire all'espressione è di attribuire particolare priorità all'intervento legislativo in tema di salute e sicurezza sul lavoro, senza tuttavia rinunciare ad un intervento sulla "tutela" del lavoro in generale. Il termine "tutela" è del resto ben sperimentato nel quadro della nostra cultura costituzionale, essendo non a caso utilizzato nell'articolo 35 della Costituzione, rimasto inalterato (<La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni>).

Anche in materia di lavoro, e non soltanto, come oggi, in virtù del trasferimento funzionale dei servizi per l'impiego, spetterà alle Regioni <la potestà legislativa salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato>. É assolutamente prematuro fare previsioni sulla portata dell'innovazione che comunque appare rivoluzionaria. Fra Stato e Regione, almeno alcune fra esse, è facile prevedere che si aprirà un confronto assai impegnativo. Parrebbe logico che, in aggiunta alle competenze in materia di formazione e di servizi per l'impiego, le Regioni legiferassero in materia di mercato del lavoro. Più delicato è ipotizzare un intervento sul rapporto di lavoro e in materia sindacale. Anche se sembra possibile sostenere che l'impianto legislativo del tutto uniforme tuttora vigente subirà con il tempo una forte opera di erosione.

Dunque è l'intero scenario delle relazioni industriali che è destinato a cambiare. Parlare a questo punto di "federalismo contrattuale" o, quantomeno, di "regionalizzazione" della contrattazione collettiva, appare una logica conseguenza. Del resto anche in Germania l'impianto federale è risultato fondamentale nel determinare l'assetto negoziale che intercorre fra le parti sociali. Occorre solo saper cogliere tutte le potenzialità del nuovo ordinamento costituzionale: legiferare, negoziare e, perché no, concertare a livello regionale sarà la regola, non l'eccezione. Chissà che non si riescano a modernizzare in questo modo le relazioni industriali italiane

 

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