Il tema del federalismo costituirà il vero terreno di confronto politico e istituzionale dopo la parentesi estiva. Paradossalmente, cioè a dispetto delle opposte strategie dei due schieramenti politici, la riforma federalista assume le caratteristiche di un tema bipartisan. La vecchia maggioranza dell'Ulivo ha voluto a tutti i costi approvare la sua riforma prima dello scioglimento delle Camere. La nuova maggioranza della Casa delle libertà vuole andare oltre e si appresta, dopo il referendum confermativo, a presentare un nuovo progetto.
Ma su un punto tutti sembrano essere pienamente d'accordo: le Regioni avranno potestà legislativa concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro, di professioni, nonché di previdenza complementare e integrativa. Non appena la riforma ulivista entrerà in vigore, dopo il referendum confermativo, il Governo dovrà dimostrare la propria ispirazione federalista dando attuazione a questo nuovo quadro costituzionale.

Si tratta di una riforma davvero epocale. Le Regioni potranno legiferare in materia di lavoro dipendente e autonomo, pur all'interno di principi generali delineati dallo Stato. Non si tratta di un semplice rafforzamento di misure regionali per implementare una politica nazionale. Il legislatore costituente non a caso ha mantenuto l'immigrazione fra le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva, onde evitare che politiche differenziate vanificassero il potere contrattuale della manodopera locale. Il cambiamento di prospettiva è radicale e quasi si esita a riconoscerlo apertamente.
A questo punto si tratta invece di compiere uno sforzo, certo non agevole, per ripensare l'insieme della nostra legislazione sul lavoro: Governo e opposizione, parti sociali e Regioni, tutti dovranno molto presto presentare le proprie proposte.
Non c'è da drammatizzare dando per scontata la lacerazione sociale del Paese. Lo Stato conserva pur sempre (almeno nella versione ulivista) legislazione esclusiva nella . Non solo, ma sarà sempre lo Stato a rispondere all'Unione europea della trasposizione delle direttive comunitarie. Quindi lo Stato può delineare una legislazione cornice che, riprendendo le nostre norme costituzionali e quelle di matrice comunitaria come la Carta di Nizza, assomiglierà sempre più alle direttive di Bruxelles.

Del resto è il processo di integrazione europea, nel dialogo fra ordinamento comunitario e nazionale in nome della sussidiarietà, a reclamare una svolta federalista che risponda alle esigenze di mercati del lavoro molto differenziati. Tutte le indagini empiriche a questo riguardo convergono nel reclamare soluzioni diversificate nella regolazione dei rapporti di lavoro e il federalismo potrebbe essere la soluzione per rivitalizzare una contrattazione collettiva che tarda ancora oggi a cogliere le clamorose diversità delle nostre Regioni.

Nel confronto di autunno fra Governo e parti sociali potranno inserirsi temi difficili come un nuovo intervento sulle pensioni. Ma sembra davvero inevitabile che si parli di federalismo e lavoro, di come si potrà auspicabilmente concertare questa nuova stagione: nulla sarà più come prima e la stessa concertazione sociale dovrà subito federalizzarsi. Se avremo un federalismo sul lavoro più competitivo o solidale dipenderà da quanto si discuterà in autunno.

Ci si dovrà confrontare sul significato di questa legislazione-quadro nazionale. Per esempio parlare di riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori potrà essere tecnicamente fuorviante visto che, fermo restando il principio fondamentale (confermato a Nizza) della giustificatezza del licenziamento individuale, potrebbero essere le Regioni a decidere le conseguenze della sua illegittimità, scegliendo fra risarcimento e reintegrazione. Tutti gli attori sono attesi a una prova molto rigorosa della propria capacità progettuale: è l'occasione storica, forse insperata, per porre mano a una reale modernizzazione del diritto del lavoro.

 

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