Il sindacato italiano è tornato a scioperare ma propone poco, anzi quasi nulla. La vicenda degli scioperi indetti contro la progettata riforma del mercato del lavoro dimostra che la tentazione di rifugiarsi nel passato è ancora molto forte. Si ritorna al conflitto, anziché impegnarsi in un confronto rigoroso, come avviene in altri Paesi europei. E, soprattutto, si rinuncia a formulare una propria controproposta, come invece stanno facendo gli imprenditori.

Tutti sanno che la Ig Metall è la più grande organizzazione sindacale europea, anzi del mondo. Nel 1999 ha avviato una ricerca su se stessa, sulla propria strategia e quindi sul futuro. Istituti specializzati e indipendenti hanno intervistato oltre 120mila persone fra iscritti e rappresentati. I risultati sono molto interessanti. Oltre il 90% dei lavoratori tedeschi considera compito essenziale del sindacato quello di stabilizzare i rapporti di lavoro, contrastando così la disoccupazione. Di questi il 37% ritiene indispensabile una collaborazione con gli imprenditori. Quanto alle rivendicazioni, un orario di lavoro più a misura della famiglia sembra l'aspirazione maggiore dei lavoratori tedeschi che vorrebbero poter migliorare continuamente la propria educazione, anche per poter trovare più facilmente un posto di lavoro in caso di perdita di quello attuale.
Tuttavia solo il 16% pensa che il ruolo del sindacato sarà in futuro più rilevante.

La Ugt spagnola, di ispirazione socialista, non ha condiviso il progetto di riforma del mercato del lavoro adottato in marzo dal Governo Aznar. Anziché abbandonarsi a iniziative di protesta, questo sindacato ha messo a punto un proprio programma alternativo e ora ha lanciato una campagna di raccolta di firme per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare.

In questo documento, assai complesso, il sindacato spagnolo ha chiarito alcune priorità. Innanzitutto un deciso rilancio del part-time, per soddisfare le esigenze personali e famigliari dei lavoratori. In secondo luogo la massima attenzione ai processi di esternalizzazione, soprattutto quando coinvolgono attività ad alto rischio, come nel caso dell'edilizia. Infine misure di varia natura per stabilizzare rapporti di lavoro troppo precari, in una logica di formazione continua.

Purtroppo una capacità progettuale del genere non si è manifestata da parte sindacale in Italia. Il confronto è impietoso: critiche, anche aspre, alle proposte del Governo, ma ben poche proposte. Eppure larga parte del sindacalismo italiano afferma di riconoscersi in una logica di confronto e non di conflitto. Ma allora, dove sono i progetti alternativi a quelli del Governo o comunque le idee che possono migliorare quanto delineato nel Libro Bianco e nella delega sul mercato del lavoro? Eppure si sono toccati anche temi che avrebbero dovuto suscitare la massima attenzione nel mondo sindacale: dalla responsabilità sociale delle imprese, alla partecipazione, fino allo stesso "Statuto dei lavori". Peccato, davvero peccato che tutto si riduca all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, una norma di cui non solo la maggioranza, ma anche larga parte dell' opposizione, in sostanza vuole la modifica.

Il Governo ha chiesto alle parti sociali di produrre "avvisi comuni" su numerosissime materie, mentre il Parlamento inizia a discutere la delega sul mercato del lavoro. Gli argomenti sono tanti: dall'orario di lavoro al riordino dei contratti a finalità formativa, dalle nuove tipologie contrattuali per contrastare il lavoro nero fino alla riforma degli ammortizzatori, al riordino degli incentivi all'occupazione, nonché le sperimentazioni in tema di arbitrato e di licenziamento. Arriveranno questi avvisi comuni? La Confindustria ha già detto mesi fa, nel programma presentato a Parma, che cosa vorrebbe. Altre associazioni datoriali hanno reagito alle iniziative del Governo facendo giungere proposte assai dettagliate su vari argomenti. Perché il sindacato non fa lo stesso? Senza rinunciare a legittime iniziative di protesta, non sarebbe più consigliabile avanzare tempestive ed efficaci controproposte?

Il dialogo sociale non è fatto solo di accordi. In sede comunitaria importanti direttive sono state varate anche in assenza di intesa fra le parti (l'esempio dei Comitati aziendali europei è il più noto), dando vita a esperienze applicative molto fruttuose sul piano della stabilizzazione delle relazioni industriali. É allora venuto il momento che le componenti del sindacato italiano che vogliono il confronto si svincolino dalla logorante logica del conflitto. In tutta Europa il futuro del sindacato (e quindi di relazioni industriali moderne e partecipative) dipende dal suo coraggio di uscire da vecchi schemi, lanciando una sfida progettuale ai Governi e alle controparti imprenditoriali. Si tratta davvero di cambiare per non lasciare il mondo del lavoro senza adeguata rappresentanza




 

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