La trattativa sulla trasposizione della direttiva comunitaria sul contratto a termine è davvero anomala. Sembrava a un certo punto che le numerose associazioni imprenditoriali e i sindacati avessero trovato un'intesa di massima. Anzi, particolare in qualche modo curioso, erano forse i sindacati a essere più certi degli imprenditori che la trattativa si sarebbe chiusa a breve. L'intesa era, stando alle dichiarazioni, di superare l'attuale sistema che consente la stipulazione di contratti a termine solo nei casi previsti dalla legge e dalla contrattazione. E invece è iniziato lo psicodramma tutto interno a una componente sindacale dove si è manifestato un crescente dissenso. Risultato: la trattativa è di nuovo in alto mare.

L'anomalia di questa vicenda non consiste solo nell'aver sfiorato l'accordo e averlo mancato all'ultimo momento. Questo in realtà accade sovente nell'esperienza contrattuale. Sorprende invece l'insistenza con cui una parte del sindacato rimane strenuamente abbarbicata all'idea che debba essere la legge a offrire sostegno alla contrattazione. La richiesta è infatti che ancora una volta la nuova normativa deleghi l'autonomia collettiva a identificare i casi in cui è consentita l'apposizione di un termine alla stipulazione di un contratto a tempo determinato, nonché a determinare le percentuali di lavoratori assunti in questo modo rispetto al totale di quelli a tempo indeterminato.

Questo è il nodo centrale di questa trattativa che le rende esemplare di un'intera stagione delle relazioni industriali. In altri Paesi, come la Germania, la legge che ha trasposto la direttiva comunitaria ha semplicemente detto che si può assumere un lavoratore a termine per ragioni tecniche, facendo poi qualche esempio. Non si è fatto alcun rinvio alla contrattazione collettiva. Questo evidentemente non esclude che il sindacato tedesco possa richiedere ulteriori garanzie. Una parte del sindacato italiano sembra invece quasi temere di non aver più la forza di contrattare se non vi è un ausilio da parte del legislatore. Quasi spaventato di non farcela da solo, il sindacato si appella allo Stato perché gli dia manforte. Si tratta di una situazione ben nota nel diritto comparato. In Francia è accaduto qualcosa di simile e il risultato è stato disastroso: i sindacati si sono ancor più indeboliti perché i lavoratori avvertono che il vero sostegno giunge dalla legge e non dai loro contributi.

L'anomalia sta nel fatto che questa trattativa non viene condotta ad armi pari. Se infatti le parti sociali non fossero in grado di raggiungere un accordo traspositivo o comunque di esprimere un avviso comune, il Governo potrà intervenire e provvedere alla trasposizione. Niente di più semplice quindi che frapporre ostacoli all'intesa affinché l'attuale Governo, certo assai sensibile alle ragioni di una componente del sindacato, provveda assecondandone le aspettative. Magari seguendo l'impostazione del decreto sul part-time con cui si è perduta un'occasione preziosa per modernizzare il diritto del lavoro.

La direttiva comunitaria non parla di limiti alla prima assunzione a termine ma giustamente esige che l'imprenditore la giustifichi. L'invito esplicito è quello di evitare abusi nelle successive assunzioni, evitando un'esasperata precarietà. Questo è il senso della strategia, lanciata a Lisbona e confermata a Nizza, di creare più lavoro e di migliore qualità. Ma la qualità dell'occupazione non si realizza con le vecchie tecniche della contrattazione collettiva imposta per legge. E la competitività delle imprese non si difende accollando loro regole ignote ai concorrenti, addirittura all'interno del mercato domestico comunitario. Il sindacato ritrovi l'orgoglio di una contrattazione davvero libera: di assistenzialismo statale le relazioni industriali potrebbero anche morire

 

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