Finalmente è stato pubblicato il decreto legislativo 368/2001 che contiene la nuova normativa in materia di lavoro a tempo determinato, completando la trasposizione della direttiva 1999/70/Ce. La pubblicazione del decreto sulla <Gazzetta>era molto attesa. Dopo tutto sono trascorsi due mesi dall'approvazione del Consiglio dei ministri e molti operatori attendevano con ansia questo momento. Ora che disponiamo della normativa è il momento dell'applicazione e quindi delle prime indicazioni. Innanzitutto val la pena sottolineare il totale mutamento di prospettiva rispetto al sistema precedente.

Al posto di causali previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva, ora il legislatore richiede che per l'assunzione a termine il datore di lavoro precisi le <ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo>che legittimano il ricorso a questa forma contrattuale. Già questa circostanza dovrebbe fugare qualunque dubbio circa la presunta violazione della <clausola di non regresso>affermata anche da questa direttiva. Il lavoro a termine non è posto allo stesso livello di quello a tempo indeterminato. Al contrario, la nuova disciplina presuppone l'onere di motivare (adeguatamente, in modo congruo e convincente) ogni singola assunzione a termine. Non è più sufficiente rifarsi a ipotesi legali o contrattuali: bisogna motivare ogni singola assunzione. Tale interpretazione è corroborata dalla relazione di accompagnamento al decreto e comunque appare indiscutibile nel rispetto dello spirito e della lettera della direttiva.

Giova tuttavia precisare che l'assunzione a termine resta insindacabile nel merito da parte dell'autorità giudiziaria. In fondo tale lettura della norma si può evincere dall'esperienza giurisprudenziale consolidatasi a proposito dell'articolo 2103 del Codice civile in materia di trasferimento del prestatore di lavoro, norma dove si utilizzza una formula pressoché testuale. Vano sarebbe argomentare diversamente, ciò che condurrebbe a concludere che il sistema attuale è ancora più vincolistico di quello precedente. Si tratta di una diversa tecnica di tutela, in virtù della quale il datore di lavoro deve esplicitare nel momento costitutivo del rapporto le ragioni che lo inducono all'utilizzo di questa tipologia contrattuale. Tale obbligo consentirà, in costanza di rapporto, di controllare se l'attività cui è adibito il dipendente sia davvero corrispondente a quanto dichiarato nel contratto. Le motivazioni alla base del contratto devono risultare da atto scritto, ad substantiam. L'inciso (<direttamente o indirettamente>) non deve essere travisato. Infatti l'ammissibilità della prova testimoniale sarà possibile entro i limiti dell'articolo 2724, 3^ comma, del Codice civile, cioè se <il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova>.

Forse ancor più rilevante è la disciplina contenuta dall'articolo 4 in materia di proroga. Le <ragioni oggettive>richieste dal legislatore non corrispondono più alle esigenze di carattere temporaneo della precedente disciplina. In questo caso l'onere della prova è esplicitamente posto a carico del datore di lavoro, ma in via interpretativa tale conclusione vale anche per la stipulazione dell'originaria assunzione e termine.
Non mancheranno dubbi interpretativi ai quali il legislatore non esclude di porre rimedio nell'ambito della stessa delega che potrà essere ulteriormente coltivata nei successivi 12 mesi. Come quello relativo all'articolo 11, comma 2, che fa salve <le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi della legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto>. Anche se a tale proposito sembra ragionevole ritenere che il nuovo regime non travolga sic et simpliciter ogni ipotesi di contratto a termine tipizzata dal legislatore nel precedente regime: in via transitoria, e salvo diverse intese, detti contratti collettivi mantengono infatti la loro efficacia fino alla scadenza. Sopravvivono inoltre tutti i contratti individuali stipulati a mente delle ipotesi (non solo contrattuali ma anche legali) individuate dalla normativa previgente, che restano immuni dall'immediato effetto abrogatorio del decreto.

Si tratta, per il resto, di una disciplina sufficientemente chiara. Il richiamo alla contrattazione collettiva è confermato per l'individuazione dei limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato (articolo 10, comma 7), salvo casi in cui prevale la finalità promozionale dell'occupazione o assimilati, qual è anche l'ipotesi di contratti di durata assai breve, non superiore ai sette mesi. Un ulteriore impulso alla regolarizzazione di collaborazioni anche assai limitate nel tempo, ciò che comunque non esclude l'obbligatorietà di una motivazione adeguata.
Il nuovo contratto a termine premierà dunque il datore di lavoro corretto e serio, contribuendo auspicabilmente a combattere la piaga del lavoro non dichiarato. É anche con la flessibilità che si può migliorare la qualità del lavoro


 

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