Il Governo può definire "inutile" il prosieguo dell'attività negoziale delle parti sociali solo perché una delle tre organizzazioni sindacali maggioritarie abbandona il tavolo delle trattative? Può il Governo ingerirsi nei rapporti fra le parti sociali fino al punto di definire quali siano i soggetti abilitati a trasporre una direttiva comunitaria? La recente lettera del ministro del Lavoro dà una risposta affermativa a questi quesiti, quasi intimando di interrompere il negoziato in corso sul tema dei contratti a termine. Si tratta a ben vedere di una posizione politica che vorrebbe assegnare a una organizzazione sindacale di fatto un potere di veto. Sul piano giuridico è invece un precedente del tutto privo di fondamento giuridico.

Il documento utilizza quattro argomenti. Secondo il primo, una direttiva comunitaria, concordata dalle parti sociali a quel livello, deve essere trasposta da tutti gli attori che aderiscono alle strutture sindacali sovranazionali firmatarie. Fuor di metafora: occorre che Cgil, Cisl e Uil, tutte assieme, concorrano a trasporre una direttiva concordata dalla Ces (Confederazione europea dei sindacati). In realtà il nesso fra le due cose non esiste. Il Trattato dell'Unione europea non ne fa cenno. Sul piano organizzativo la Ces rappresenta le organizzazioni nazionali a essa affiliate per quanto riguarda l'accordo raggiunto in sede comunitaria. Quanto invece alle modalità di recepimento nel contesto nazionale, vige la più ampia libertà delle varie organizzazioni a interpretare liberamente i contenuti dell'accordo e quindi le tecniche per la sua attuazione. Se fosse vera la lettura del ministro italiano del Lavoro, la Ces non riuscirebbe a stipulare più alcun accordo in sede comunitaria. I sindacati nazionali non si legherebbero mai le mani fino al punto di subordinare la propria azione alla ricerca del consenso unanime degli altri soggetti affiliati alla stessa Ces.

Il secondo argomento riguarda la tempistica del negoziato in corso. Si ritiene "inutile" un rinvio del termine per l'espressione dell'avviso comune (ma si dovrebbe parlare di accordo traspositivo). Ma di quale termine si tratta? Lo stesso documento del ministro ammette che il vero termine per recepire la direttiva è quello del prossimo luglio, addirittura rinviabile di un altro anno, e in ogni caso la delega del Parlamento scade nel gennaio del 2002. Perché mai a metà marzo del 2001 un dissidio fra i sindacati dovrebbe automaticamente por fine al negoziato? Non si sa.

Terzo argomento. La Corte costituzionale ha affermato che l'Italia possiede già una articolata disciplina del contratto a termine. Certo, ma ciò non toglie legittimità allo sforzo di realizzarne una più moderna che valorizzi maggiormente le capacità occupazionali di questo strumento. E comunque anche questa è una ragione in più per non chiudere il discorso in atto. Quarto e ultimo punto: il Parlamento è ormai sciolto ed è corretto che il Governo si astenga dall'imporre una soluzione per decreto. La soluzione è saggia, ma ancora una volta il fondamento giuridico è errato. Non consta che la dottrina costituzionale rifiuti in modo assoluto al Governo la potestà regolamentare per coltivare deleghe a Camere sciolte, specie se non è stata votata una mozione di sfiducia al Governo.
É quindi errato il ragionamento del Governo secondo cui un "avviso comune" richiederebbe l'assenso di tutte le maggiori confederazioni sindacali. Così argomentando, si riscrive la nostra Costituzione materiale riconoscendo un diritto di veto che non può esistere, soprattutto quando le parti sociali svolgono delicate funzioni para-legislative. Anche all'avviso comune deve applicarsi il principio del libero riconoscimento fra gli agenti negoziali, sancito dagli italiani che nella consultazione referendaria di qualche anno fa si pronunciarono contro la concezione oligarchica dei sindacati maggiormente rappresentativi.

La trasposizione deve avvenire a opera dei soggetti sociali che sono in grado di raggiungere un accordo. In mancanza di disposizioni del Trattato Ue che dispongano diversamente, deve valere l'esperienza di un pluralismo sindacale che non può riconoscere a nessuna organizzazione, per quanto importante, la possibilità di prevaricare il diritto delle altre a stipulare intese. E i Governi, una volta coinvolte le parti sociali, dovrebbero solo attendere in tempi ragionevoli il dispiegarsi del confronto contrattuale. Di libertà sindacale "a sovranità limitata" non si sente davvero il bisogno nell'Italia di oggi.

 

Shopping24