In Francia le parti sociali e il Governo hanno preso atto che modernizzare le relazioni industriali è un processo fondato sul principio di maggioranza e non sull'unanimità di tutti gli attori. Il 16 luglio il Medef (la Confindustria francese) e altre associazioni imprenditoriali minori, assieme a tutte le centrali sindacali ad eccezione della comunista Cgt, hanno espresso una "posizione comune" su alcuni temi molto vicini a quelli che saranno oggetto del confronto autunnale previsto in Italia.

Cominciamo dai livelli contrattuali. Il principio concordato è, in sostanza, quello per cui il livello decentrato (quello aziendale) può derogare al contratto collettivo nazionale, sia esso interconfederale o di settore. Qualora invece, anche su singoli istituti, la contrattazione di secondo livello non sia intervenuta, valgono le regole concordate su scala nazionale. Un assetto molto semplice, quindi: a livello aziendale le parti possono disciplinare i propri rapporti per intero mentre il livello nazionale resta come presidio di regolazione in tutti gli altri casi.

Proseguiamo con il regime giuridico dei contratti "separati", cioè sottoscritti non da tutte le organizzazioni sindacali. I sottoscrittori della "posizione comune" hanno voluto valorizzare il principio di maggioranza. Questo significa che il contratto aziendale stipulato da alcuni sindacati vincolerà tutti i lavoratori a condizione che venga indetta una consultazione dei lavoratori e la maggioranza si esprima a favore dell'intesa. Dunque nessun potere di veto del sindacato dissenziente (a meno che non abbia ottenuto da solo almeno il 50% dei voti alle ultime elezioni) che non potrà contestare la validità dell'accordo o minacciare azioni giudiziarie.

Concludiamo con un cenno al ruolo della legge e del contratto collettivo. Le parti sociali invitano il Governo e il Parlamento a legiferare su questioni fondamentali in materia di lavoro, dando attuazione a trattati internazionali con riferimento ai diritti essenziali del lavoratore. Tutto il resto (compresa la trasposizione delle direttive comunitarie) dovrebbe avvenire tramite il dialogo sociale. E proprio a proposito del dialogo sociale è stata concordata forse la novità più interessante. Al Governo si chiede infatti di comportarsi, in futuro, come la Commissione europea. Se ritiene che una certa materia debba essere regolamentata, deve avvertire le parti sociali chiedendo loro se intendono provvedere per contratto. Se il negoziato collettivo darà esito positivo, il Governo si limiterà a raccomandare al Parlamento la conferma di quanto concordato. Solo se la trattativa rimarrà infruttuosa, il Governo potrà fare proposte autonome in materia sociale e del lavoro. É stato quindi recepito il modello del Trattato dell'Unione europea.

L'intesa realizzata in Francia è un utile elemento di riflessione in vista del confronto autunnale fra Governo italiano e parti sociali. Occorre che anche nelle relazioni industriali si trovi un modo per decidere senza che ogni volta si debba drammatizzare l'esito del confronto se qualcuno non è d'accordo. Ancora oggi circola la curiosa teoria secondo cui dal Patto di Milano alla trasposizione della direttiva sul contratto a termine si sarebbe voluta escludere la Cgil.

Ogni organizzazione sociale deve essere libera di condividere o meno le scelte, esprimendo con forza il proprio dissenso, ma senza impedire al dialogo sociale di approdare a risultati concreti. Anche nelle relazioni industriali bisognerà abituarsi a esercitare il diritto di critica su quanto concordato da altre organizzazioni, senza per questo paralizzare il processo decisionale. Se non c'è l' unanimità, si decida a maggioranza. Senza minacce di ricorrere in tribunale o alla piazza.

 

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