I venti di guerra di questi ultimi mesi non lasciano spazio a grandi ottimismi. Tutte le economie occidentali si apprestano a registrare una fase di recessione, di cui non è tuttavia ancora dato conoscere durata ed entità.

Le strategie delle imprese sono fortemente condizionate da questa situazione di incertezza. Non si tratta più solo di valutare attentamente, come accaduto nel corso dell'ultimo decennio, se e come assumere nuovi lavoratori, dare corso a processi più o meno estesi di esternalizzazione o anche di delocalizzazione, ecc. In molti casi torna in gioco la stessa sopravvivenza delle imprese. Recessione e ristruttrazione procedono di pari passo, mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. Gli Stati Uniti, che come sempre anticipano quanto poi si verificherà in Europa e nel resto del mondo, stanno conoscendo una nuova e inaspettata stagione di esuberi del personale, chisura di impianti e aumento dei livelli di disoccupazione.

Le domanda a cui occorre oggi rispondere è se il nostro diritto del lavoro ha gli strumenti per fronteggiare questa nuova stagione di recessione e, naturalmente, se questi strumenti potranno risultare efficaci. L'Italia dispone indubbiamente di un ampia gamma di ammortizzatori sociali, che hanno come obiettivo proprio quello di attenuare le conseguenze sociali delle situazioni di crisi aziendale e di ristrutturazione. Vero è, però, che questi strumenti, a cui si unisce una gamma alquanto eterogenea di incentivi economici per la assunzione di lavoratori espulsi dal processo produttivo, si sono dimostrati tanto onerosi per le casse dello Stato quanto inefficienti a garantire una adeguata ricollocazione dei lavoratori nel mercato regolare del lavoro.

Accanto alla storia infinita dei lavori socialmenti utili, si pensi all'istituto, davvero tutto italiano, della Cassa integrazione guadagni, tanto ricca di oneri burocratici quanto debole nel sostenere l'occupabilità e le possibilità di reinserimento professionale del lavoratore.

Il limite vero di questi strumenti, va chiarito, non consiste semplicemente nelle inutili sovrapposizioni e negli sprechi di risorse statali altrimenti utilizzabili. Piuttosto, ciò che sino a oggi è mancato è stato un approccio di tipo preventivo che consenta di arginare i drammi di una disoccupazione senza ritorno e dei gravissimi fenomeni di emarginazione ed esclusione sociale che la perdita di un lavoro può portare.

In un contesto tanto denso di ombre, la delega sul mercato del lavoro approvata nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri induce a più di un motivo di ottimismo. Le proposte contenute nella delega sono in primo luogo il frutto di una precisa strategia chiaramente delineata nel Libro bianco del Governo sul mercato del lavoro. Dopo anni di navigazione a vista, il Governo ha dato corpo a un disegno complessivo di riforma del diritto del lavoro che individua nelle misure per la occupabilità e la adattabilità una risposta ai gravi problemi.

Non si tratta di ricette miracolose. Più semplicemente della consapevolezza di attuare a livello nazionale le preziose indicazioni elaborate dalle istituzioni comunitarie, che offrono risposte concrete e obiettivi misurabili: nuovi ed efficienti servizi per l'impiego che, nell'interazione tra operatori pubblici e privati, consentano di fornire una rete di tutele preventive alla disoccupazione; riconoscimento del ruolo degli operatori privati qualificati sia nelle fasi di ingresso/reingresso nel mercato del lavoro sia nelle fasi di espulsione dal processo produttivo mediante servizi di outplacement; creazione di un network di reti regionali, integrato pubblico-privato, che unisca la capillarità di raccolta delle informazioni alla disponibilità delle stesse dando vita a una "borsa continua" del lavoro.

É sulla base di queste misure preventive che sarà possibile dare vita a una radicale riforma (anch'essa prevista nella delega sul mercato del lavoro) del sistema degli incentivi all'occupazione e degli ammortizzatori sociali. Accanto alla ridefinizione delle condizioni soggettive per la continuità nel godimento delle prestazioni erogate dagli ammortizzatori sociali (per esempio ricerca fattiva di una nuova occupazione), è prevista infatti l'adozione, a favore dei lavoratori interessati da processi di riorganizzazione e/o ristrutturazione aziendale, di interventi formativi nell'ambito di piani di reinserimento, definiti in sede aziendale o territoriale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro più rappresentative. Un invito alle parti sociali per occuparsi non solo di tutele di chi ha già un lavoro, ma anche di chi ancora non lo ha o lo ha (temporaneamente) perduto.




 

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