La concertazione con le parti sociali non è sancita dalla Costituzione italiana ma è prevista dal Trattato dell'Unione europea. All'epoca dell'Assemblea costituente il ruolo delle parti sociali non era neppure paragonabile a quello odierno. Negli anni '90 invece le conferenze intergovernative di Maastricht ed Amsterdam fecero tesoro dell'esperienza concertativa maturata da molti Paesi, del nord e del sud dell'Europa. Ecco perché il diritto comunitario regola l'attività di concertazione con principi molto chiari.

Quanto accade a livello dell'Unione europea non può più essere considerato indifferente per gli Stati membri. Ed il modello comunitario è molto utile proprio per venire a capo del confronto in atto in questi giorni sul futuro della concertazione sociale. Come ha autorevolmente ammonito il Presidente della Repubblica, la concertazione serve per decidere. Giustissimo: ma chi decide quando è giunto il momento di decidere?

Una concertazione senza regole, qual è in sostanza la nostra, rischia prima o poi la crisi che in effetti sta vivendo. A meno che non la si intenda nella versione tedesca della "Alleanza per il lavoro" inaugurata dal Governo socialdemocratico. Si tratta di un processo di consultazione che progredisce durante l'intera legislatura, registrando di tanto in tanto intese circoscritte a temi specifici che vengono poi presentate al Parlamento per rapide approvazioni. E se non c'è consenso, come nel caso della riforma del sistema di cogestione, assai invisa agli imprenditori, se ne prende atto e si procede con la tradizionale procedura parlamentare.

A livello Ue la Commissione, quando assume un'iniziativa in campo sociale, assegna alle parti sociali circa un anno per concordare, se lo ritengono opportuno, un'intesa. Naturalmente le autorità comunitarie si guardano bene dall'intervenire nella scelta degli attori sociali. Si procederà, come ha confermato la Corte di giustizia delle Comunità europee, solo sulla base del reciproco riconoscimento, senza interferenza alcuna. Gli accordi finora intervenuti sono frutto di una libera intesa. Mai il Commissario europeo per gli affari sociali si permetterebbe di esprimere pubblicamente valutazioni circa l'opportunità o meno che un certo attore sociale firmi un'intesa. Mai la Commissione europea oserebbe interferire in una trattativa aperta fra le parti sociali senza esserne richiesta. Nessuno insomma interverrebbe durante il negoziato come ha fatto il ministro italiano del Lavoro, dando così origine ad una discussione all'interno del Governo. Ogni trattativa è in fondo un'operazione a cuore aperto: i soggetti non autorizzati dovrebbero stare fuori dalla porta in attesa che si concluda l'intervento.

A condizioni chiare dunque la concertazione può ancora servire. Sempre che non si trasformi in uno strumento per esaltare diritti di veto che fra l'altro mai un Governo dovrebbe incoraggiare se vuol davvero farsi garante della libertà sindacale. Con l'eccezione di alcuni Paesi, anche importanti come Regno Unito e Francia, la concertazione sociale è ormai una prassi diffusa. Occorre però che i Governi, pur sperimentando soluzioni nazionali, rispettino le indicazioni del modello comunitario. Sarebbe ora che l'Europa venisse presa finalmente sul serio dalla classe politica e dalle parti sociali

 

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