Luciano Gallino ha sostenuto ieri su <La Repubblica>che la delega richiesta recentemente dal Governo in materia di mercato del lavoro avvicinerebbe l'Italia a quei Paesi in via di sviluppo dove fiorisce la cosiddetta economia informale. Di tante opinioni critiche espresse in questi giorni questa è davvero la più eccentrica. Si confonde infatti in modo davvero clamoroso il tema del lavoro irregolare e non dichiarato con quello della flessibilità.

Si insinua il sospetto che quanti hanno lavorato al Libro Bianco e ai primi provvedimenti attuativi vogliano portare in Italia forme di sfruttamento tipiche dell'America Latina o di alcuni Paesi asiatici. Peccato, davvero peccato, che il dibattito scada a questi livelli di disinformazione. É appena il caso di ricordare che in America Latina e più in generale nei Paesi in via di sviluppo si pone anzitutto il problema dell'effettività della legislazione sul lavoro a tutela dei diritti più elementari. Non a caso l'Organizzazione internazionale sul lavoro è da anni impegnata in una campagna a favore del decent work, per tutelare le grandi masse di lavoratori senza diritti effettivi che sono quotidianamente sfruttate in quei Paesi. Si parla del diritto di contrattazione collettiva, del lavoro minorile e forzato, del riconoscimento del diritto di sciopero. Cosa c'entri tutto questo con l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è davvero inspiegabile. E comunque anche nei Paesi in via di sviluppo ci si chiede se tecniche di tutela più flessibili del lavoro dipendente non favorirebbero l'emersione del mercato del lavoro clandestino. Cerchiamo di ristabilire una versione obiettiva delle cose: nei Paesi in via di sviluppo esiste una legislazione a tutela del lavoro in gran parte ignorata, analogamente a quella legislazione garantista in stile anni Settanta che garantisce all'Italia uno dei più floridi mercati del lavoro clandestino esistenti in Europa.

Anche in Italia abbiamo per troppo tempo inseguito il mito delle norma giuridica, inflessibile, inderogabile, in sostanza inapplicabile. E il risultato si è visto: anche da noi il lavoro nero continua a prosperare, anche nelle nostre regioni le donne e i giovani sono ai margini del mercato del lavoro. In questo senso si può fare un paragone fra Paesi in via di sviluppo e certe aree soprattutto del nostro Mezzogiorno.

La violenza delle critiche che Gallino muove al Libro Bianco e ai primi provvedimenti del Governo rasenta il grottesco. Regolarizzare le collaborazioni coordinate e continuative significa favorire l'economia informale? Agevolare la riemersione del lavoro clandestino prevedendo nuove tipologie contrattuali più semplici e non con tutele inferiori, vuol dire portare l'Italia nel Terzo Mondo? Incentivare un uso flessibile del tempo di lavoro, così da aiutare le tante, troppe donne ancora escluse dal mercato del lavoro per i pressanti e assorbenti obblighi familiari: anche questo sarebbe la barbarie giuridica di cui il Governo si starebbe macchiando?

Prospettare ai giovani che hanno concluso gli studi un ingresso regolare nel mercato del lavoro, con un tirocinio o l'apprendistato: cosa c'è di terzomondista in queste misure? Anche invitare le parti sociali a confrontarsi sulla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese: cosa c'entra questo invito del Governo con lo squallore dello sfruttamento minorile evocato da Gallino?

La verità è che si tenta di creare un clima da corrida, scatenando gli istinti protestatari più irrazionali di fronte al disegno di modernizzare il mercato del lavoro. Criminalizzare il Governo in questa materia, inveire contro gli esperti che hanno collaborato al Libro Bianco, quasi che si vogliano soltanto creare condizioni di sfruttamento, ha un solo significato: rifiutare la logica di modernizzazione che l'Europa ci raccomanda da anni, invitandoci perentoriamente a sperimentare misure di adattabilità. Il progetto è uno solo: non cambiare nulla. Dispiace constatare che anche alcuni studiosi facciano opera di disinformazione inducendo gli italiani a credere che qualcuno voglia abrogare il principio del licenziamento giustificato. Si tratta di una menzogna, di una falsità giuridica davvero smaccata: avvicinare la situazione dei <vendedores de estrada> messicani richiamati da Gallino ai lavoratori super-protetti dell'articolo 18 è davvero un insulto ai primi e una presa in giro per i secondi. L'articolo 18 sarebbe la diga che bisogna difendere a tutti i costi: peccato che quella diga impedisca a tanti soggetti di entrare nel mercato del lavoro. C'è da augurarsi che il dibattito sulla modernizzazione risalga di tono e qualità. Delle guerre di religione e del conseguente fanatismo, anche se relativo all'articolo 18, nessuno sente davvero il bisogno.



 

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