Alla vigilia dell'introduzione dell'euro come moneta circolante, le parti sociali europee hanno fatto il punto sulla concertazione e sul dialogo sociale. Quantomeno a livello comunitario, le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali hanno compreso che per non restare tagliate fuori dai grandi processi che coinvolgono l'Europa occorre dimostrare progettualità. Il contributo congiunto presentato al recente Consiglio europeo di Laeken è un modello di realismo propositivo su cui anche gli imprenditori e i sindacati italiani farebbero bene a riflettere.

Sarà che l'euro costringe davvero tutti a confrontarsi con meno retorica e maggiore capacità di analisi con quanto avviene in Europa. Sarà che il livello comunitario è da sempre meno inficiato da confronti ideologici o da velleità conflittuali. Sta di fatto che le parti sociali europee hanno riconosciuto l'utilità di distinguere nettamente la concertazione dal dialogo sociale. Non bisogna fare confusione fra le due pratiche, affermano con saggezza, come invece avviene ben spesso nei Paesi candidati all'allargamento (e, si potrebbe aggiungere, anche in Italia che è invece uno Stato membro fondatore della Ue). Quanto al futuro della concertazione tripartita, in cui si attuano gli scambi fra parti sociali e pubbliche autorità europee, non si prevedono accordi, quanto piuttosto confronti, auspicabilmente da realizzare all'interno di un forum che almeno annualmente consenta di verificare la strategia concordata a Lisbona.

Quanto al dialogo sociale, la dichiarazione comune Unice-Ces auspica che questa pratica divenga sempre più autonoma. Non che non si apprezzi quanto prevede ora il Trattato, visto che la Commissione non può fare proposte in materia sociale senza aver prima interpellato imprenditori e sindacati che possono anche assumere in prima persona l'iniziativa in senso quasi-legislativo. Tuttavia si riconosce che in questo caso è ancor più corretto parlare di consultazione delle parti sociali. Il vero dialogo sociale è quello che pone a diretto contatto le parti. E a tale proposito la dichiarazione congiunta auspica l'adozione di una varietà di strumenti: accordi-quadro, opinioni, raccomandazioni, dichiarazioni congiunte, scambi di esperienze, campagne di sensibilizzazione. Non si può vivere insomma di sola contrattazione collettiva: il dialogo sociale del futuro è fatto anche di altre tecniche.

A nessuno può sfuggire lo sforzo di modernizzazione che le parti sociali hanno concordato alla vigilia del Consiglio di Laeken. Pur preannunciando proposte più specifiche entro un anno, nel semestre di presidenza danese, esse lanciano fin d' ora un avvertimento: non tagliateci fuori dal processo decisionale. Le riforme del governo dell'Europa e in particolare la sfida dell'allargamento implicano nuovi metodi di confronto fra le parti sociali e tra esse e le autorità comunitarie. Per far parte di questi grandiosi processi di modernizzazione su scala continentale, occorre che anche imprenditori e sindacati si rinnovino.
Queste sono le parti sociali di cui abbiamo bisogno anche in Italia: capaci di valutazioni critiche, ma al tempo stesso propositive e, soprattutto, in grado di rinnovarsi, cominciando dal metodo di confronto tra loro e con il Governo e le Regioni. Qualcuno si è scandalizzato perchè il Libro Bianco sul mercato del lavoro ha molto insistito sul dialogo sociale, senza peraltro aver mai escluso l'utilità di pratiche concertative. Occorre sviluppare anche nel nostro caso una pluralità di strumenti affinchè gli attori sociali svolgano un ruolo attivo di proposta critica. Senza però confondere le responsabilità, pretendendo di codecidere tutto, tutti assieme, come in fondo si voleva nel Patto di Natale del 1998.

L'integrazione europea avanza con troppa velocità perchè si possa procedere con strumenti e prassi che inevitabilmente implicano il riconoscimento di diritti di veto. É legittimo che qualche attore sociale sia in disaccordo con le scelte del Governo. Tuttavia questo deve comportare la conferma del rispetto dei ruoli, pretendendo un confronto serrato sul merito. Far ricorso alla piazza, agitando troppo spesso lo spettro dello sciopero generale, non sembra davvero uno strumento utile per declinare in senso europeo il dialogo sociale.



 

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