Il Consiglio dell'Unione Europea ha adottato l'11 giugno una posizione comune sulla nuova direttiva riguardante l'esercizio dei diritti di informazione e consultazione nelle imprese nazionali. La notizia, pur riferita dagli organi di informazione, sembra caduta nel disinteresse generale. Si tratta invece di un passaggio cruciale anche per il futuro delle nostre relazioni industriali. Anche perché il Parlamento europeo, secondo la procedura di co-decisione, deve ora dire la sua, ed è possibile che il testo finale sia quindi ancora più vincolistico.

Perché mai una nuova direttiva comunitaria in questa materia? La risposta della Commissione e del Consiglio è semplice: l'ingresso nella terza fase dell'Uem accelererà le pressioni competitive a livello europeo, ingenerando l'intensificazione dei processi di ristrutturazione. Informare e consultare i lavoratori in tempo utile, si argomenta ancora, è condizione preliminare perché queste operazioni avvengano con successo. I quadri giuridici nazionali regolamentano sovente tali diritti in una logica di trattamento a posteriori dei processi di cambiamento. Occorre invece agire in una logica di prevenzione, si conclude, e quindi l'intervento comunitario si giustifica in nome della sussidiarietà e della proporzionalità. É insomma indispensabile varare una regolamentazione minima per garantire che le relazioni industriali nazionali si orientino decisamente in questa prospettiva di partecipazione.

I ragionamenti della Commissione e del Consiglio sono tutt'altro che privi di fondamento. Il punto è però un altro: lo strumento legislativo è davvero indispensabile in questa materia? La direttiva creerà notevoli problemi di trasposizione specialmente a quei Paesi, come il Regno Unito e l'Italia, dove non esiste un quadro giuridico di carattere generale in tema di diritti di informazione e consultazione. Il Governo Blair, non a caso, ha a lungo osteggiato la decisione appena assunta dal Consiglio, accontentandosi alla fine di qualche sconto sulla soglia applicativa (esenzione delle imprese con meno di 100 dipendenti per due anni, anziché il regime di 50 addetti per impresa e 20 per stabilimento). L' Italia ha invece appoggiato la proposta della Commissione, non si sa con quanta consapevolezza delle ricadute.
C'è un punto molto importante nell'attuale testo della direttiva che dovrebbe essere ulteriormente valorizzato. Si prevede infatti che gli Stati membri possano affidare alle parti sociali, al livello adeguato, compreso quello aziendale, il compito di definire liberamente e in qualsiasi momento mediante accordo negoziato le modalità di informazione e consultazione dei lavoratori. Gli accordi in materia, compresi quelli esistenti, potranno prevedere disposizioni diverse da quelle indicate dalla direttiva stessa. Si replica insomma il modello di un'altra direttiva di successo, quella dei Comitati aziendali europei. La legge prescrive regole generali e soprattutto indica un obiettivo di fondo (nel nostro caso il diritto dei rappresentanti di essere informati e consultati in tempo utile dall'imprenditore), ammettendo che esso venga conseguito dalla contrattazione collettiva secondo soluzioni concordate liberamente dalle parti.

Resta il fatto che la direttiva dovrà essere trasposta, le parti sociali dovranno confrontarsi e il Governo alla fine dovrà decidere. Se tutto questo è difficile già oggi sui contratti a termine, figuriamoci domani quando addirittura si tratterà del tema scottante della partecipazione, cioè dei limiti a quelle che sono comunque prerogative manageriali di decisione. Fra l'altro si dovrà anche trasporre un'altra direttiva ormai in dirittura di arrivo, quella sulla Società Europea. Le relazioni industriali italiane sono quindi alla vigilia di un passaggio molto delicato: anziché aspettare l'ultimo momento per confrontarsi in una logica di drammatizzazione, le parti sociali dovrebbero approfondire questo tema, magari valorizzando una volta tanto il ruolo del Cnel. Anche il nuovo Governo deve dire la sua su questi temi: è tempo di passare dalle promesse ai fatti anche nelle relazioni industriali.

 

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