Hanno vinto i Giants, di New York, contro ogni pronostico. La 42esima edizione del Super Bowl contro i favoritissimi Patriots, i campioni imbattuti del New England, i vicini del Nord, è stata ieri notte durissima, tesa e bellissima. Un derby che ha ipnotizzato l'America, che ha fatto dimenticare l'appuntamento elettorale del Supermartedì, il testa testa fra Hillary e Obama, la crisi a Wall Street. Una partita che si è chiusa, con un passaggio azzardato del geniale regista Eli Manning, miglior giocatore in campo, a 34 secondi dal fischio di chiusura, un lancio che ha raggiunto al millimetro l'attaccante Plaxico Burres per il "touch down", lasciando sbigottiti e impotenti i due difensori dei Patriots. La situazione si è ribaltata, i Giants sono passati in vantaggio, 17 punti a 14. Per i Patriots non restavano che una manciata di secondi per un altro touch down. Ci hanno provato, ma sono andati a vuoto. A un secondo dalla chiusura la palla è tornata ai Giants. È stato un trionfo. New York si è riversata per strada. Ha celebrato euforica, a Times Square nei bar irlandesi sparsi per la metropoli, a Brooklyn Hights, a Staten Island, nelle periferie fatte di casette ordinate di Queens, nei bassifondi del Bronx dove tutti si identificavano con alcuni dei giocatori chiave. Come Tom Brady, afroamericano, pilastro d'acciaio della difesa dei Giants, giocatore chiave della partita. L'intera città si è abbandonata a un'emozione che non conosceva dal 1991, l'ultima volta che i Giants strapparono il premio sportivo più prestigioso d'America: Plaxico Burres, snello, alto, un atleta perfetto, intervistato in diretta sui maxischermi sistemati per strada in tutto il Paese, ha raccontato il passaggio finale e poi si è commosso: ha pianto in diretta commuovendo a sua volta l'America.
Il Super Bowl è la finalissima tra i vincitori di due tornei nazionali che durano l'intera stagione, un doppio campionato che parte ai primi di settembre per una lunga stagione che sfocia in un periodo di eliminatorie a gennaio. A febbraio, il Super Bowl, quest'anno a Phoenix, in Arizona, da sempre l'evento televisivo più seguito d'America con 90 milioni di spettatori e tariffe pubblicitarie record. Quest'anno, come succede ogni anno, si è superato il record dell'anno scorso. Il tariffario della rete Fox, che si è aggiudicata l'esclusiva per la trasmissione, è stato di 90.000 dollari al secondo, con spot minimi di 30 secondi al costo di 2,7 milioni di dollari a spot. Ma per le grandi aziende americane, dalla birra Anheuser Busch, principale sponsor, ai pneumatici Bridgestone, alla Pepsi Cola, alla General Motors, alla Hyundai, alla Coca Cola, allo stesso candidato Barack Obama, solo per citarne alcuni, il pagamento del tempo è il costo minimo. Le pubblicita del Super Bowl infatti sono una passerella centrale per l'immagine aziendale, e il costo principale è nella produzione di spot che spesso non vengono neppure più ritrasmessi e che possono costare anche fino a 20 milioni di dollari. Ed è una fiera delle vanità per gli stessi pubblicitari che sanno di essere giudicati in modo implacabile per il loro lavoro. Lo spot più carino e divertente è stato quello della Anheuser Busch (Budweiser e Miller) il cui simbolo è un carro trainato da un gruppo di bellissimi cavalli da tiro. Uno dei cavalli viene scartato dalla selezione per entrare a far parte del traino del carro. Non è in forma adeguata. Il cavallo è triste, ma trova un cane dalmata che lo prendere sotto la sua ala protettrice e lo allena, facendogli trainare treni, facendolo saltare, facendogli fare percorsi a slalom tra boschi innevati per tutto l'anno successivo. L'anno dopo il cavallo passa l'esame e viene incluso nel gruppo che traina il carro. Rispetto ad alcuni spot più cinici, e stata una storia a lieto fine, in controtendenza, proprio come è stata la vittoria dei Giants di ieri notte.

 

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