Nemmeno il tempo di finire il campionato e già l'atrio arrivi e partenze degli allenatori è affollato come non mai. Delneri, anziché delibarlo, ha tracannato lo champagne dell'impresa sampdoriana e si è trasferito armi e bagagli alla Juventus. Di Carlo sta facendo le valigie per andarlo a rimpiazzare, Guidolin torna a Udine, Marino percorre il cammino inverso (direzione Parma). Un andirivieni annunciato, eppure sorprendente per la concitazione, la frenesia, quasi che il nuovo campionato anziché a fine agosto cominciasse domenica.
Poi, si capisce, la presenza più eclatante nel salone-partenze è certamente quella di Mourinho. Che al momento è soltanto virtuale, visto che sabato a Madrid ci sarebbe il lavoro da finire, ma si arricchisce di ora in ora di indizi sempre più sicuri, dall'ormai celebre discorso del pullman (da non confondere con quello del predellino), alla disdetta della scuola per i figli, al tono addolorato con cui ne parla Moratti, ed è già molto che non gli escano i verbi all'imperfetto. In genere tre indizi fanno una prova. Dato che in questo caso saranno una trentina, comprese le disperate mozioni degli affetti del popolo nerazzurro, sarei l'ultimo a stupirmi se sabato sera con uno dei suoi colpi di teatro Mourinho si ammanettasse alla panchina interista. Per poi essere portato in processione, lui e la panchina, da Malpensa a San Siro. A quel punto indipendentemente dall'esito finale, anzi a maggior ragione in caso di sconfitta.
Ipotesi, questa, che non può essere definita remota perché in una finale secca una squadra tedesca è sempre un cliente da rispettare. Ma di minoranza sì, e per almeno due ragioni. La prima è che l'Inter può vantare rispetto al Bayern un tasso tecnico decisamente superiore. La seconda è quella con cui Bearzot concluse il suo discorso alla squadra nell'imminenza di un'altra finale al Bernabeu, poco meno di 28 anni fa. Ricordatevi, disse il vecio, che i tedeschi sono più potenti di voi. Ma voi siete più veloci. E per far valere la loro potenza, prima vi devono prendere. È vero che a differenza di allora in quest'Inter, con la (sperabile) eccezione di Balotelli, di italiani non ce n'è. Ma c'è in tutti i reparti, e in tante individualità, quel cambio di passo che soltanto Robben possiede tra gli avversari.
Chiunque vinca, tra Inter e Bayern, o tra Mourinho e Van Gaal se preferite, visto che va così di moda sottovalutare i giocatori e sopravvalutare gli allenatori, eguaglierà la storica impresa del Barca e di Guardiola di un anno fa. Coppa dei campioni, coppa nazionale e campionato. È proprio il 3 il numero perfetto.
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