Dichiarazioni ufficiali e posizioni contro Google, reo di aver tolto la censura «venendo meno alle promesse fatte». Ecco cosa ha scritto la stampa cinese dopo la decisione del motore di ricerca americano di spostare il traffico su Hong Kong.

"La Cina dichiara che il caso Google non influenzerà la relazioni con gli Stati Uniti". Il resoconto di fine giornata offerto sul sito da Nuova Cina, l'agenzia di stampa statale cinese, verte tutto sulle reazioni delle autorità locali all'annuncio di Google. "Il caso non inciderà sulla relazioni tra i due paesi, a meno che qualcuno non lo politicizzi" recita il sommario dell'articolo, citando il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Qin Gang. E' esattamente la stessa titolatura e lo stesso attacco dell'articolo che compare sul versione on line del China Daily, l'organo del Partito in lingua inglese.

"Google blocca la censura". "Google ha violato l'impegno scritto di censurare i risultati sul suo motore di ricerca in cinese e questo e' totalmente sbagliato, ha dichiarato un alto funzionario del Governo." L'altro quotidiano ufficiale in inglese, il Global Times, mantiene nella versione on line l'articolo uscito sul quotidiano cartaceo. I toni sono quelli più duri delle prime reazioni ufficiali all'annuncio di Google e non la posizione più conciliante ("È una questione commerciale" espressa in seguito dal Ministero degli Esteri).

"Google viola le sue promesse, completamente sbagliato fermare la censura". Il sito web del Quotidiano del Popolo, quotidiano ufficiale del Partito comunista, prende la stessa linea di fermezza, proponendo un sommario identico a quello del Global Times.

I servizi sono praticamente gli stessi sui siti più popolari in Cina - Sohu.com, 163.com e news.people.com.cn - che ripropongono con titoli diversi lo stesso articolo distribuito da Nuova Cina. In un paese dove stampa e media radiotelevisivi sono rigidamente controllati, e obbligati all'autocensura pena il ritiro della licenza, l'atteggiamento frequente è di prendere la linea dell'agenzia statale. Il Nieman Lab dell'università di Harvard ha studiato il fenomeno a inizio mese, partendo da un articolo in cui il New York Times ha ipotizzato che gli attacchi denunciati da Google lo scorso gennaio provenissero da hacker al lavoro in due università cinesi. Analizzando i risultati aggregati da Google news è emerso che di 151 articoli pubblicati da media cinesi sul caso, la maggior parte era una riproposizione degli stessi sei servizi di altri media, di cui solo 4 con informazioni di prima mano dei cronisti.

 

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