Quanto conta il Risorgimento per gli italiani del 2010? Difficile rispondere, ma forse qualche dato può aiutarci a formulare un'ipotesi. Secondo il rilevamento di Nielsen BookScan (il più avanzato sistema di monitoraggio del mercato librario, da poco adottato anche dai principali editori del nostro paese) solo l'1,3 per cento di tutti i libri venduti in Italia tra il 2007 e il 2009 ha come oggetto la vicenda risorgimentale. Ben poca cosa rispetto al successo di altri temi storici come la Roma antica (11,6% del totale), il fascismo (7,3%) o persino il medioevo (3,8%).
Detta altrimenti: nelle librerie italiane le gesta di Garibaldi e Mazzini valgono poco più della storia dell'Impero Ottomano o di quella dell'estremo oriente (entrambe all'1%), per quanto si tratti di vicende ad alta densità di eroi e dunque dotate di ingredienti che almeno in teoria possono fare la fortuna di un libro.

Sono solo statistiche commerciali, si dirà. Eppure possono suggerire una riflessione alla vigilia del ciclo di eventi che ci condurrà nel 2011 alla celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Vale la pena domandarsi, in particolare, se le rievocazioni risorgimentali saranno in grado anche solo di contribuire a ricomporre in un'unica tela le molte Italie nelle quali il nostro paese appare disperso. Va da sé che non è in discussione la necessità di onorare il Risorgimento ai più alti livelli di partecipazione popolare e istituzionale, come peraltro ci impone il calendario, quanto piuttosto l'autosufficienza di quel riferimento storico dinanzi al compito che attende nei prossimi mesi la nostra discussione pubblica: ritrovare una narrazione che sia capace di raccontare agli italiani cos'è diventata la loro nazione. Una narrazione che non sia necessariamente condivisa e priva di polarità (bipartisan, verrebbe da dire cedendo a una delle ossessioni più bizzarre del nostro gergo politico), ma che sia in grado quanto meno di provocare una spinta all'identificazione trasversale tra le molte appartenenze identitarie nelle quali si è scomposta l'Italia.

Davanti a un compito di tale difficoltà, è legittimo dubitare che una nuova e robusta iniezione di retorica risorgimentale riesca ad avvicinare l'obiettivo. In questo senso Cavour e Garibaldi non hanno colpe, per quanto ormai deboli di fascino nei confronti dei (pochi) italiani che frequentano le librerie. La responsabilità principale va invece cercata tra coloro che in quest'ultimo ventennio avrebbero dovuto farsi carico di ritrovare una narrazione nazionale dotata di un'autentica capacità attrattiva. E dunque innanzitutto nei partiti politici, le forze che hanno avuto l'onere e l'onore di raccogliere il consenso democratico e di organizzarne le rappresentazioni simboliche collettive.

La crisi della politica italiana ha colpito duramente anche qui. Perché appena quindici anni fa sarebbe stato possibile immaginare che i nuovi partiti nati da Tangentopoli avrebbero prima o poi prodotto una o più mitologie nazionali di ampio respiro, in grado di competere con quelle che fin verso la fine del Novecento avevano sostenuto le culture politiche della prima repubblica. Oggi possiamo invece constatare che né l'universo berlusconiano né quello che a Berlusconi si contrappone hanno prodotto qualcosa che somigli a un'idea di patria. Non è accaduto nel centrosinistra, dove l'unica mitologia unificante rimane quella dell'antiberlusconismo («In poche parole un'altra Italia», nello slogan della campagna del PD per le prossime elezioni regionali). Ma soprattutto non è accaduto nel centrodestra, che ha tenuto più a lungo il timone del paese e che dunque porta su di sé la responsabilità maggiore del fallimento, dove né Forza Italia né An sono riuscite a diventare una vera forza nazionale liberale che oltre al consenso sia capace di lasciare un'eredità che sopravviva ai rispettivi fondatori. Tutt'intorno ai due fallimenti, una moltitudine di piccole identità locali o comunque segmentate tra le quali è difficile riconoscere il profilo di una rappresentazione nazionale.

Dove non sono riusciti i partiti della seconda repubblica è dunque difficile che riesca un ciclo di celebrazioni che avrà nel Risorgimento la sua pur pregiata chiave di volta, perché non si vede chi possa far uscire Garibaldi dalla retorica per farne un personaggio capace di parlare di patria agli italiani del 2010.
Al secolo e mezzo dall'unità le cose sono andate così, chissà che non vadano meglio al traguardo dei due secoli.

 

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