Mi piacerebbe tanto che il professor Monti fosse qui, ora, in Piazza Mercatale, a vedere e a toccare con mano la compostezza di tutte queste persone, la cui impresa e la cui vita sono state sconvolte proprio dall'apertura dei mercati nazionali, e che del concetto stesso di crescita economica non hanno che un caro, sempre più vago ricordo. Vorrei poter dire al professore che, se pure è ormai scritto nel nostro futuro che dovremo diventare tutti economicamente irrilevanti, io e la mia famiglia e la mia città e tante altre città di provincia dove nascevano e prosperavano migliaia di piccole imprese che davano lavoro a centinaia di migliaia di persone in tutta Italia, non possiamo accettare in silenzio che il nostro declino e la nostra sofferenza vengano prima dimenticati e poi addirittura negati, cancellati con un tratto di penna – la storia meravigliosa mia e della mia gente, per usare le parole del maestro Fitzgerald, ignorata come se non esistesse, come se non fosse mai esistita. Perché la mia gente non sono solo i pratesi. A declinare e a soffrire, oggi, sono anche i distretti tessili di Biella e Como, di Lecco e Carpi, della Val Seriana e di Chieri in Piemonte e Bronte in Sicilia; i distretti dell'abbigliamento di San Marco dei Cavoti e di San Giuseppe Vesuviano; il distretto di Aiola vicino a Benevento e quello di Calitri, sempre in Campania; il distretto di Vibrata in Abruzzo e il distretto del jeans nel Montefeltro.
È in crisi anche la mitica Brianza. Questa è la mia gente, professor Monti. La mia gente che in tutta la vita non ha fatto altro che lavorare. Siamo milioni, e mi perdonerà se la coinvolgo in questo libro dolente, in questa disperata battaglia che le parrà di retroguardia, ma è assolutamente necessario che da ora in poi lei si ricordi di noi quando ragiona di politiche comunitarie con le persone più potenti del mondo, altrimenti ci metto poco a mandarle a Milano Tacabanda e i suoi ragazzi, a scuotere i cancelli della Bocconi.
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