«Io lavoro sulla semplicità: filmo una bestia, un albero, un uomo, in modo elementare, legato all'occhio, alla percezione pura. Non voglio essere né ermetico né saccente, anzi, vorrei che i bambini si divertissero a vedere il mio film». Michelangelo Frammartino, quarantenne regista nato in Calabria e cresciuto artisticamente a Milano, sa che Le quattro volte, il documentario di finzione (se così vogliamo definire un lungometraggio di difficile catalogazione) che rappresenta l'Italia alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes, può non essere capito da tutti, anche se, secondo lui, non c'è bisogno di scervellarsi, perché serve di più abbandonarsi con semplicità alla narrazione.

«Racconta il viaggio di un pastore che diventa un capretto, poi un albero, poi un minerale, passando attraverso le "quattro volte" del titolo. Un tentativo di capire e far capire che siamo tutti fatti della stessa sostanza e che esiste una connessione fra noi e le cose. Così come esiste una connessione fra lo spettatore e ciò che guarda: le immagini sono fatte della stessa stoffa di cui è fatto lui. Le quattro vite è, in qualche modo, un film sulla reincarnazione, e io prevedo un'ultima reincarnazione: quella dello spettatore nel film». Certo, questo processo di identificazione non funziona necessariamente per tutti gli spettatori. «C'è anche chi, ne Le quattro vite, vede solo bestie, alberi, persone sconnessi tra loro. E' normale, fa parte del gioco. Ma per chi riesce a immedesimarsi nella storia è un'esperienza percettiva che può dare grande soddisfazione». Certamente Frédéric Boyer, il nuovo delegato generale della Quinzaine che ha selezionato il film di Frammartino, ne è rimasto folgorato, definendolo addirittura «un thriller».

E Gregorio Paonessa, produttore di Le quattro vite con la sua Vivo Film, aggiunge: «Prevedo che il film di Michelangelo sarà capito più all'estero, dove esiste un'educazione all'immagine assai superiore a quella che esiste in Italia». Alla notizia che Cinecittà Luce, che distribuirà il film in Italia dal 28 maggio, potrebbe essere costretta a produrre solo opere prime, Frammartino risponde con genuina sorpresa: «Peccato, avrebbero dovuto produrre il mio prossimo film, un lavoro di animazione. La situazione, per chi fa cinema documentario e di ricerca, diventa sempre peggiore. Ci metti cinque anni a produrre un film e ti riduci in condizioni disperate». Come commenta l'assenza del ministro Bondi dalla Croisette? «Godard diceva che al cinema si tiene la testa alta. Comprendo che il ministro non venga in un posto dove bisogna tenere la testa alta».

 

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