Più di Mahmud Ahmadinejiad e delle sue ambizioni da dottor Stanamore. Più dei missili di Hezbollah e del massimalismo suicida di Hamas. Più di Arafat, delle sue fanfaronate e delle sanguinose operazioni suicide dei suoi uomini. Più di questo e di qualsiasi altra "minaccia esistenziale" presente e passata per lo stato ebraico, c'è una cosa di cui Israele ha davvero terrore: il palestinese moderato.
Ne sono così preoccupati gli israeliani da non avere mai ammesso pubblicamente né a loro stessi la possibilità che possa esistere questa categoria politica e umana. Giovedì scorso Emanuele Ottolenghi ha dedicato una riflessione all'ipotesi di una proclamazione unilaterale dello stato palestinese: ne ha sottolineato le minacce, le implicazioni sulla sicurezza d'Israele e ne ha previsto la sua dura risposta oltre a un'inevitabile guerra civile fra i palestinesi. Tutte ipotesi con una loro dignità. Ma non ha dedicato una sola riga per valutarne le eventuali opportunità. Possibile che l'esistenza di una Palestina moderata, dentro confini legittimi, sostenuta dalla comunità internazionale non possa offrire nulla di utile al processo di pace e al futuro dello stesso Israele?
Tuttavia né Ottolenghi né Moisés Naìm, che ha avviato questo dibattito sul Sole del 28 aprile analizzando i pro e i contro di un evento inopinato ma atteso da oltre 60 anni, si devono preoccupare. I palestinesi non hanno alcuna intenzione di proclamare unilateralmente uno stato, di stupire amici né nemici. Salam Fayyad, il primo ministro moderato, lo ha detto ripetutamente anche a questo giornale. Quello che l'Autorità palestinese sta facendo in Cisgiordania è creare le istituzioni, gli strumenti di governo e soprattutto una mentalità nuova fra i palestinesi: il giorno in cui si materializzeranno le condizioni politiche, e solo quel giorno, tutto sarà pronto per funzionare. Non è né più né meno quello che fecero gli ebrei. Il 15 maggio 1948, il giorno in cui la Yishuv si trasformò in Medinat Israel, quando la comunità degli immigrati si fece stato, una banca centrale, una polizia, l'esercito, i tribunali, le scuole, il sindacato e l'associazione degli imprenditori pubblici e privati già funzionavano da anni.
La proclamazione unilaterale della Palestina che nemmeno Hamas minaccia nel suo ridotto di Gaza, potrebbe essere usata solo come gesto disperato: nella totale mancanza di alternative politiche e negoziali, nella constatazione che mentre a Ramallah si costruisce, i coloni israeliani continuano a rubare ancora più terra ai palestinesi, che un governo sempre più ultra nazionalista e religioso vanifichi ogni negoziato. Ma questo dipende da Israele, non da Fayyad.
Invece i palestinesi sono i soliti estremisti, i "terroristi" di sempre. Le loro responsabilità storiche sono evidenti, le opportunità perdute laceranti, le brutalità note. Ma è ingiusto definire «qualche appartamento» e «un caseggiato gerosolimitano» la sistematica annessione di territori, l'insieme di leggi e di regolamenti che da decenni spogliano i palestinesi dei loro beni materiali e dei loro diritti civili. Significa riconoscere che questo conflitto senza fine è una tragedia solo per Israele e non anche per i suoi avversari. Una volta di più è "miope" Fayyad, lo sono gli americani, gli europei, i russi, i cinesi, l'Onu.
Stabilito con grande generosità cosa è una «minaccia esistenziale» per il futuro dello stato ebraico, il palestinese violento e ottuso non può che essere rassicurante. Kefiah, kalashnikov e bombe a mano, come al solito. Tutti sanno in Israele come reagire al nemico conosciuto. È al nuovo palestinese che sta cercando di creare Fayyad che non c'è risposta: come fai a negare a un palestinese i suoi diritti quando inaspettatamente quel palestinese riconosce i tuoi? È evidente che Salam Fayyad potrebbe fallire. Ma aiutarlo a farcela potrebbe scoprirsi più utile che finire di costruire il muro. È ancora più evidente che il nucleare iraniano sia una indiscussa «minaccia esistenziale»: contenerla non è in contraddizione con l'ammettere il diritto storico dei palestinesi. Al contrario, la risoluzione di questo antico problema nazionale potrebbe essere un aiuto decisivo per chiudere Ahmadinejiad nel suo minaccioso ma ancora circoscrivibile delirio.

 

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