«Non è più tempo di statue-monumento, della vittoria alata o delle mamme che tengono tra le braccia il figlio morto. È tempo di passare piuttosto alle biblioteche-monumento o al centro studi-monumento. Non dobbiamo celebrare più solo il ricordo di un sacrificio ma chiamare a raccolta gli altri, soprattutto i più giovani, per dire loro: datevi da fare anche voi per costruire le condizioni di democrazia e di sicurezza per un mondo migliore».

Alberto Ficuciello, 69 anni, generale che ha coordinato la presenza italiana in molte delle missioni internazionali di pace e padre di Massimo, morto a 25 anni nell'attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003, condivide in pieno l'idea di un monumento ai caduti italiani nelle missioni internazionali di pace, lanciata dal Sole 24 Ore dopo l'attentato di Kabul del 17 settembre scorso, in cui morirono sei paracadutisti della Folgore. Fosse lui il presidente della giuria chiamata a scegliere il progetto del monumento ai caduti, avrebbe le idee chiare. Non avrebbe difficoltà a trovarsi in sintonia con molte delle 30 proposte che Il Sole 24 Ore ha raccolto da settembre a oggi tra architetti e artisti: condividerebbe probabilmente le idee degli architetti più giovani che hanno interpretato il memoriale soprattutto come momento di informazione.

Il Sole 24 Ore presenterà le 30 idee martedì prossimo alla Camera dei deputati, alla presenza del presidente Fini, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, del presidente dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, e del vicesegretario del Pd, Enrico Letta.

Il concorso informale di architettura - in attesa che ce ne sia uno formale lanciato dal ministero della Difesa e dal comune di Roma - è servito a disseminare l'idea del monumento, a raggiungere decine di studi che a loro volta hanno contattato centinaia di persone. L'idea del memoriale ai caduti è tornata indietro ogni volta arricchita, articolata nei suoi significati, approfondita, vista da un angolo visuale nuovo.

Hanno dato un contributo grandi architetti stranieri come l'americano Daniel Libeskind, autore del museo dell'Olocausto a Berlino, lo svizzero Mario Botta con la piazza meridiana, il francese Rudy Ricciotti con il suo paracadutista nel blocco di cristallo, i giovani inglesi Carmody e Groarke già autori del memoriale alle vittime della strage di Londra del 7 luglio 2005. Il tema della costruzione attiva della pace non è solo nazionale. Il matematico-urbanista americano Nikos Salingaros, noto per le sue battaglie contro le archistar, ha rilanciato l'idea della realizzazione dell'arco disegnato da Adalberto Libera per l'Esposizione universale del 1942. Una proposta che ha riacceso a Roma il dibattito sull'opportunità di completare l'Eur con un monumento.

Una valanga d'idee è arrivata da tre generazioni di architetti italiani. I più anziani, i 60-70enni Portoghesi, Bellini, Monestiroli, Purini e Anselmi, così come gli artisti Arnaldo Pomodoro, Garutti e Isgrò hanno raccontato il dolore della guerra spesso vissuta personalmente. Nelle loro proposte prevale ancora la forza del simbolo. Anche quando rigetta «tutte le guerre», come fa Anselmi.

Delle vecchie simbologie tentano di liberarsi gli architetti 40-50enni. Aderiscono con cautela, a volte con sospetto, all'idea del monumento, ma ne sono fortemente stimolati. Rimettono in discussione pezzi della loro esistenza. «Sono stato moderatamente pacifista in gioventù», dice Cino Zucchi, ed è spesso con questo retaggio che fanno i conti. In lui, come in Francesco Garofalo, Gianluca Peluffo (5+1AA), Mario Cucinella, Mosè Ricci, Alessandra Segantini (C+S), Vincenzo Corvino e Giovanni Multari, la sfida è «la rottura del canone».

Per il monumento ai caduti, come per le chiese - dice Garofalo - «assistiamo alla sparizione del complesso di regole e liturgie che sovrintendevano alla progettazione di un genere. Dobbiamo ripartire da quella tradizione per reinventarla con occhi contemporanei, senza personalismi».

La generazione di mezzo è radicalmente individualista, ma intreccia sempre architettura e visione politica, alla ricerca di un «luogo comune» capace di superare gli steccati ideologici del XX secolo e la retorica di emozioni stereotipate. Vogliono «favorire meditazioni individuali e libere, non imprigionare in un simbolo un sentimento unico da replicare milioni di volte». La rottura del canone è il loro tratto caratteristico: addio alla statua, al portabandiera, alla targa, al linguaggio monolitico. Il memoriale diventa spazio, paesaggio, meditazione. A ognuno il proprio lutto, il punto è trovare una casa comune.

Tornare a un'architettura pubblica. «La cultura e la politica italiana del dopoguerra - dice Peluffo - hanno bandito dal vocabolario dell'arte e dell'architettura le parole bellezza, monumentalità pubblica, identificazione. Si è trattato, per questi 60 anni di storia, di buttare via l'acqua sporca del fascismo, sacrificando il senso dello stato». Si è aperto così «un vuoto di democrazia che oggi si può colmare, superando la politica di basso profilo che democristiani e comunisti hanno scelto per ragioni diverse».

Solo i trentenni, però, fanno tutto e fino in fondo il percorso di elaborazione di un nuovo canone, quello che Ficuciello vede lucidamente. I quattro romani di Scape e i palermitani emigrati a Barcellona di Mab Arquitectura (tutti fra i 32 e i 34 anni) mostrano subito una straordinaria sintonia nel vedere questi luoghi come spazi d'informazione sulle missioni di pace, sul volontariato negli scenari di guerra e in quelli di povertà, spazi aperti al pubblico, nuove centralità pubbliche e urbane. In loro non c'è alcun intimismo, usano tutte le più moderne tecnologie dell'informazione.

Un percorso sembra compiuto. Al tempo stesso, l'idea del monumento diventa - per la via dell'architettura - pluralismo, rappresentazione di una nazione fatta di individui, senza alcuna retorica unificante e con mille facce. Allarga l'area del consenso. La sfida lanciata dai 40-50enni è quella di creare luoghi capaci di tenere insieme la pluralità senza camicie di forza o linguaggi monolitici. Le idee degli architetti danno forza alla proposta iniziale in favore di una cultura politica fondata sul dialogo tra le parti, sulla memoria condivisa, sul riconoscimento dei molti nell'uno nazionale.

UN LUOGO PER RICORDARE I 139 CADUTI ITALIANI
Il 17 settembre a Kabul furono uccisi sei paracadusti italiani. Il loro sacrificio segue quello di altri 133 soldati italiani che, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, sono morti in missioni internazionali di pace, da Pio Semproni ucciso in un agguato a Mogadiscio nel 1950 ai tredici soldati morti in Congo nel 1961 (a dodici giorni dal rientro a casa), dai 19 militari dell'Operazione Antica Babilonia morti a Nassiriya il 12 novembre 2003 fino ai militari che non sono tornati dall'Afghanistan. L'ultimo caso, il 139°, è quello del primo caporalmaggiore Rosario Ponziano morto il 14 ottobre vicino ad Harat per il ribaltamento di un Lince. Vite umane, sangue versato per la pace: Il Sole 24 Ore (nella foto, il quotidiano del 22 settembre) ha deciso di promuovere una campagna per la costruzione di un memoriale che ricordi il sacrificio dei soldati italiani caduti nelle missioni all'estero, dando la propria vita per tener fede all'articolo 11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

 

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