Recentemente ho avanzato un'ipotesi (certo non originale) e cioè che la stabilità delle banche dal 1935 fino più o meno al 1980 avesse moltissimo a che fare con la mancanza di concorrenza, che offriva alle banche un valore d'esclusiva che i vertici non volevano mettere in pericolo con strategie rischiose.
L'idea ha acceso un interessante dibattito telematico che ha sollevato il seguente punto: come si concilia la perdita dell'esclusiva con gli enormi profitti realizzati dal settore finanziario?
Questo è quello che penso io sull'argomento: in sostanza, il settore finanziario prende in prestito grandi somme di denaro a tassi d'interesse bassi e reinveste i fondi in attività a più alto rendimento. Ma perché queste attività rendono di più? In buona parte, direi, per via del peso problem, un termine che nacque nella mensa del Massachusetts Institute of Technology a metà degli anni 70. (Io ero presente, ma nessuno, me incluso, ricorda con precisione chi fu a inventarlo).

La scintilla che diede il via a tutto quanto fu l'osservazione che il Messico aveva un tasso di cambio fisso rispetto al dollaro (allora era così), ma i titoli di Stato messicani continuavano a pagare interessi più alti di quelli emessi dal Governo americano. Perché? Presumibilmente perché esisteva una forte probabilità percepita di svalutazione. Ma era qualcosa che non emergeva da nessuna analisi statistica, perché si trattava di un evento poco probabile e che non si era ancora verificato. Analizzando i numeri, invece, si sarebbe visto chiaramente che c'era tutto da guadagnare a prendere in prestito in dollari e prestare in pesos.

Questo, a mio parere, è quello che ha fatto per molto tempo il settore finanziario: prendere soldi in prestito emettendo asset teoricamente sicuri, poi investire i proventi in asset che in realtà non rendevano molto ma in apparenza sì. Se vi ricorda le piramidi finanziarie è perché ci assomiglia molto. Come ha evidenziato Robert J. Shiller nel suo libro Euforia irrazionale, una bolla, in realtà, è una piramide finanziaria che si crea spontaneamente, senza bisogno di un deliberato atto di frode ma con lo stesso effetto.
E senza riforme serie, tornerà a succedere.

BACKSTORY /PER APPROFONDIRE -Equilibrismi messicani

Nel luglio del 1944, mentre la seconda guerra mondiale si avviava al termine, i leader di 44 Paesi parteciparono alla conferenza di Bretton Woods nel New Hampshire per elaborare la struttura del sistema economico del dopoguerra. L'accordo che raggiunsero affrontava molti dei punti deboli del gold standard e gettava le basi per la creazione del Fondo monetario internazionale, istituendo anche tassi di cambio fissi tra i Paesi membri del Fondo.

Il Governo messicano aderì a questo sistema nel 1954, nella speranza di mettere un freno all'instabilità del peso mediante l'adozione di una parità col dollaro a 12,50 pesos, un tasso stabilito dopo la forte svalutazione avvenuta in precedenza quello stesso anno. Il Governo di Città del Messico portò avanti anche una politica di industrializzazione nazionale, limitando le importazioni dei beni di consumo, ma lasciando ai capitali più libertà di movimento.

Fu un modello che si rivelò vincente fino agli anni 70, quando il presidente Luis Echeverría cominciò ad accrescere rapidamente la spesa pubblica chiedendo soldi in prestito ai mercati internazionali e alla Banca centrale messicana, forte delle riserve di petrolio appena scoperte sul territorio messicano. Il suo successore, il presidente José López Portillo, continuò sulla stessa strada. La spesa pubblica, insieme alle misure di sostituzione delle importazioni e a un'inflazione al 15 per cento, cominciò a mettere sotto pressione il cambio fisso.

Per timore di scatenare una fuga di capitali, il Governo optò per un cambiamento del sistema. Il ministro del Tesoro, Mario Ramón Beteta, nel settembre del 1976 annunciò che il Messico avrebbe adottato un cambio fluttuante. La mossa, che di fatto scatenò un'altra svalutazione, segnò l'avvio di un'era di alti tassi di inflazione che sarebbe durata fino ai primi anni 90.
© 2010 NYT – distribuito da The NYT Syndicate

(Traduzione di Fabio Galimberti)

 

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