Delle differenze hanno fatto la chiave del loro successo. Lui, Enrico Fratesi, è italiano, originario di Pesaro, lei Stine Gam, danese. Insieme sono GamFratesi, coppia creativa sempre in cerca del punto d’equilibrio tra misura ed emozione. Quest’anno tornano al Salone con i loro progetti allo stesso tempo rigorosi e poetici e con collaborazioni importanti, come quelle con Poltrona Frau, Dedon, DePadova, Porro e Thonet. Al Fuorisalone della Milano Design Week sono con Hay a Palazzo Clerici, con Gubi a Palazzo Serbelloni e con Japan Creative a Palazo Litta.
Nel vostro lavoro c’è sempre molta ricerca. Quali sono le competenze che oggi sono richieste a un designer?
Le competenze sono cambiate notevolmente negli ultimi anni. Bisogna essere molto più preparati tecnicamente e sono richieste anche le parole, il prodotto non si presenta più da solo, bisogna saperlo raccontare. Oggi, che molte aziende non producono più internamente, spesso tocca al designer cogliere una tecnologia, un nuovo materiale e suggerirla al cliente. Una volta, invece, i designer avevano rapporti con l’azienda, entravano in fabbrica, e il progetto nasceva lì.
Artigianato e tecnologia, come convivono nella vostra ricerca questi due aspetti?
Uno non esclude l’altra, anzi. Quando artigianato e tecnologia trovano il giusto equilibrio il progetto prende molta forza. Pensiamo al divano Kite per Porro, evoluzione della poltrona presentata lo scorso anno. C’è la differenziazione della gomma per offrire il massimo del comfort, e quindi si usa la tecnologia a livello produttivo, poi però tutta la parte dell’imbottito è artigianale, con cuciture a mano. Stessa cosa per i Soffi, le sospensioni che abbiamo progettato per Poltrona Frau avvalendoci dei maestri vetrai veneziani: ogni lampada è differente dall'altra e la quantità di colore che crea la sfumatura ogni volta è diversa. Poi, all’interno, c'è una tecnologia led contenuta in una dimensione veramente ridotta.
Altri progetti per il Salone?
Per Dedon la poltroncina Aiir, che ha richiesto tre anni di lavoro, un progetto molto tecnologico, in cui abbiamo spinto la ricerca al limite per raggiungere la leggerezza che cercavamo. Per Thonet abbiamo lavorato su un'estensione del divano Targa e per DePadova abbiamo progettato Étiquette, divano con un concetto interessante. Tolti i cuscini, rimangono solo le fasce in cuoio e le bacchette dello schienale, non c'è nessuna struttura, nessuna parte imbottita.
L’Italia vista dalla Danimarca. Che evoluzione pensate possa avere il Made in Italy?
Pensiamo che in Italia la capacità produttiva e la disponibilità umana siano uniche. Visto dalla Danimerca, dove ormai non c'è più niente, è molto interessante interessante venire qui, andare in fabbrica e incontrare gente che ha ancora competenze di altissimo livello. Bisogna avere il coraggio di crederci, che significa non fare il pezzo sull’ordine, ma investire in magazzini, nella produzione, senza dimenticare di farlo anche nell'immagine, nella fotografia e nel racconto della storia aziendale e del prodotto.
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