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Un nano (tech) solleverà il mondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2010 alle ore 08:12.

«Stiamo uscendo dalla crisi»; «La crisi deve ancora arrivare»; «Dalla crisi usciremo!». Sull'ultima di queste affermazioni, tutte peraltro contemporaneamente presenti sulla stampa in questi giorni, un commento. Mercoledì, sul Sole, Alessandro Plateroti con il titolo «Crescere in tempi di austerità» sottolineava in prima pagina la particolare difficoltà di un dopo-crisi caratterizzato da governi indebitati che non avrebbero più potuto contare sullo stimolo dei lavori pubblici, dell'edilizia per «riaccendere i motori» dell'economia, non solo per la mancanza di risorse, ma soprattutto per la complessità del nostro sistema economico. Considerazioni condivisibili; ma quali strumenti, in positivo, per i governi, per il nostro governo?
L'uscita da questa fase di crisi passerà attraverso la diffusione di nuovi modelli di sviluppo, di nuove tecnologie. La crisi non è infatti stasi, ma momento di svolta, di scelta, per le società come per gli individui. Vorrei qui considerare un esempio importante e, forse, paradigmatico. In questi anni, mentre il sistema finanziario implodeva, emergeva una nuova tecnologia con uno straordinario potenziale di sviluppo e innovazione, una tecnologia in grado di cambiare i rapporti di forza tra le diverse economie, in grado di generare crescita a livello planetario. Parlo della nanotecnologia, l'insieme dei metodi che consentono di osservare, misurare e manipolare la materia sulla scala del nanometro (un miliardesimo di metro). In estrema sintesi, la nascita della nanotecnologia rappresenta per la specie umana il raggiungimento della capacità, finora riservata alla natura, di costruire a partire dai blocchi costitutivi della materia sistemi profondamente diversi, le cui proprietà e funzioni sono imposte dal dettaglio della forma e della composizione sulla scala del nanometro.
La natura "fa" il ferro e l'aria a partire dagli stessi blocchi (nuclei ed elettroni) ma ottiene proprietà diversissime grazie a piccoli dettagli di forma. Oggi l'umanità può "fare" lo stesso. Credo appaia subito chiaro che questa capacità ha impatto su tutti i settori produttivi: farmaci, materiali, diagnostica, Ict... È forse anche intuibile la rilevante dimensione economica derivante da queste nuove metodologie: prima del terremoto della finanza gli analisti parlavano di un Trillion dollar market (un milione di milioni di dollari) nel 2015. Ora probabilmente questo traguardo sarà raggiunto con qualche anno di ritardo, ma sarà raggiunto e superato.

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Tags Correlati: Finanziamenti alle imprese | Ministero dei Lavori pubblici | Trillion dollar

 

Meno evidente è che queste tecniche, di grande valore scientifico e tecnico, spesso richiedono, per essere sfruttate, investimenti piccoli rispetto alle metodologie tradizionali. Cambia tutto. Economie e paesi fuori gioco per la mancanza di risorse economiche possono ora, se posseggono le risorse intellettuali e scientifiche, competere con successo in settori da cui erano prima esclusi. Nuove opportunità per crescere e competere si aprono a livello planetario, percorsi credibili per il dopo-crisi.
Ma torniamo al nostro quesito: che cosa possono dunque fare i governi, il nostro governo per "riaccendere i motori" dell'economia? Guardando a questo esempio, molto. In primo luogo, per non essere esclusi dal Trillion dollar market derivante da questa tecnologia ad alta intensità scientifica, è necessario sostenere e stimolare la messa a punto delle conoscenze e proteggerne la proprietà. Questo deve essere fatto ora e questa priorità deve influenzare le scelte di oggi sull'utilizzo delle poche risorse disponibili. Qui il groviglio delle competenze nazionali e locali, il labirinto degli schemi di finanziamento, il poco coraggio del Piano nazionale della ricerca rappresentano dei seri ostacoli, ma se ne è già scritto molto.
Fortunatamente la base di partenza nel nostro paese è solida e di alto livello, con università ed enti di ricerca pronti a contribuire e a garantire la presenza del paese nel gruppo di testa in questa competizione. Per lo sfruttamento di queste conoscenze, però, intravediamo lo spettro del ritardo nel trasferimento tecnologico, che tante volte ha afflitto il nostro tessuto economico. Uno studio recente promosso dalle Commissione europea mostra che, mentre il numero di entità di ricerca che si dichiarano attive nel settore nanotech nel nostro paese è confrontabile con quello di Francia o Germania, il numero delle realtà produttive è invece solamente una modesta frazione. Qui è necessario coraggio imprenditoriale, visione e una maggiore vicinanza del mondo produttivo con la ricerca. È poi anche utile, ma non può essere il solo strumento, lo stimolo governativo all'innovazione, all'aggiornamento e, in alcuni casi, alla riconversione del sistema produttivo.
Un ultimo aspetto forse peculiare di questo settore: queste metodologie proprio per il loro contenuto innovativo richiedono nuovi paradigmi di standardizzazione e certificazione per essere accettate dal mercato, evitando gli errori del passato (l'esempio delle biotecnologie non deve essere dimenticato). Qui non si richiedono risorse, ma regole. Regole che dovranno essere spiegate al pubblico più vasto, regole che dovranno garantire la sostenibilità della nuova economia.
Dalla breve analisi di questo particolare esempio lo stimolo per alcune considerazioni generali. Dopo la crisi, ci possiamo attendere una fase di crescita basata su settori nuovi e sul forte rinnovamento di alcuni settori tradizionali, anche alcuni di quelli in cui il nostro paese si attarda. In questa fase la conoscenza, le conoscenze giocheranno un ruolo determinante, ma queste conoscenze devono essere sviluppate ora, nei giorni difficilissimi della crisi. Questo investimento in formazione e in ricerca è perciò inevitabilmente in competizione con altre spese, con incentivi a qualche settore, con qualche iniezione di risorse in lavori pubblici magari non infrastrutturali: quali sono gli strumenti più efficaci per lo sviluppo del paese?
Presto ci ritroveremo in un mondo ancora più globalizzato, con ancora più competitori e senza spazi per rendite di posizione. La crisi passerà e sarà il dopo-crisi la vera sfida: una sfida che non possiamo perdere.
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