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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2010 alle ore 08:12.
Il dado non è ancora tratto. La possibilità di cambiare rotta esiste, se si vuole. Giornalisti, editori e cittadini devono stare in campo ora più che mai, per fermare le norme che mutilano l'informazione, attraverso il divieto di cronaca giudiziaria contenuto nel Ddl intercettazioni. Il Senato ha una grande responsabilità. Può ancora fermarsi, riflettere, fare una scelta di libertà e di giustizia o, al contrario, precipitare su una linea di regressione della civiltà democratica del paese, sicuramente sanzionabile dalle istituzioni di garanzia internazionale. Per questo è incessante l'azione che i giornalisti (anche gli editori) stanno compiendo per la difesa del diritto di cronaca. Un'iniziativa costante, determinata, che già lunedì vedrà impegnati insieme anche i direttori dei giornali in un appuntamento comune.
Sul diritto di cronaca, intaccato e in molti casi interdetto, dalle norme proposte nel disegno di legge sulle intercettazioni, si sta giocando una partita molto rilevante per la qualità della conoscenza dei fatti d'interesse pubblico da parte dei cittadini. Il mezzo passo indietro, compiuto due giorni fa dal relatore del testo all'esame della Commissione Giustizia del Senato, Roberto Centaro, sulle entità delle pene da irrogare ai giornalisti che dovessero violare l'enorme bavaglio, indica che anche la maggioranza comincia a percepire le criticità di un provvedimento che non è sostenibile.
Ma il nodo vero da sciogliere non ha alcun carattere corporativo. La cronaca, l'informazione sulle inchieste giudiziarie non può essere negata ai cittadini, tanto meno con l'inasprimento dei limiti o facendola diventare, di fatto, un crimine. Il problema non risiede, dunque, nell'entità delle pene, come cercano di far credere, ma nella creazione di un nuovo reato, che inibisce la diffusione, in qualunque forma, degli atti giudiziari non più segreti. Fino a quando quest'intollerabile limite non sarà stato eliminato, non ci sarà alcun margine di trattativa. La disposizione che impedisce anche "la pubblicazione per riassunto", prima dell'udienza preliminare, degli atti non più coperti dal segreto nonché la previsione della reclusione da uno a tre anni per chiunque prenda "diretta cognizione" di atti del procedimento penale coperti dal segreto sono limiti inaccettabili in qualunque paese democratico.