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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2010 alle ore 10:51.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2010 alle ore 08:04.
Due fili tanto sottili da sembrare invisibili uniscono la trama bipolare italiana: il primo va da Berlusconi a Vendola passando per Veltroni, il secondo da Fini a D'Alema passando per Casini. Tali personalità, seppur divise in destra, sinistra e centro, sono accomunate da una medesima cultura politica. La prima ha un impianto populistico-plebiscitario che prevede partiti illanguiditi intorno al corpo del capo e un linguaggio biopolitico post e pre-moderno che ruota intorno alla gente, al territorio, al genere, all'antipolitica.
La seconda ha caratteri costituzionali-rappresentativi che implicano partiti con una funzione autonoma e un linguaggio normativo moderno imperniato sui temi della sovranità come separazione dei poteri, dei diritti, della cittadinanza, della politica.
Ora che le polveri della propaganda si sono depositate, possiamo osservare meglio come nelle regionali del Lazio e della Puglia si siano giocate in realtà due rilevanti partite nazionali. Nel Lazio la Polverini era nata come candidata di Fini, ma ha vinto le elezioni in quanto protetta di Berlusconi al quale è stata costretta ad affidarsi dopo avere subito lo scherzetto della mancata presentazione delle liste, organizzato da un vecchio militante di Forza Italia che nessuno pensa abbia agito da solo. La Polverini dunque non ha prevalso grazie a Fini, e Berlusconi ha così raggiunto il suo obiettivo. La rottura intervenuta nei giorni successivi fra le due personalità è stata la logica conseguenza di quello schiaffo.
In Puglia ha vinto Vendola, ma anche in questo caso Berlusconi ha svolto un ruolo significativo, scegliendo di opporgli un candidato debole e rifiutando l'alleanza con la Poli Bortone. D'altra parte nessuno oggi ricorda la verità consegnata dai risultati elettorali, ossia che il centro-sinistra, se avesse candidato Boccia accordandosi con l'Udc, avrebbe vinto ugualmente. Ma era proprio questo che si voleva impedire, ossia l'affermazione del disegno di D'Alema che pensava fosse preferibile saggiare in periferia un asse tra riformisti e moderati da riproporre poi su scala nazionale per sconfiggere Berlusconi.
Vendola si è battuto come un leone mostrando qualità di vero politico: convinzione ideale, tempismo, scaltrezza, determinazione. Chi lo conosce bene non è rimasto sorpreso perché sa che è una vecchia volpe della foresta politica italiana, essendo stato candidato la prima volta in Parlamento nel 1987. Avendo perduto nel 2008 il congresso di Rifondazione comunista che lo avrebbe dovuto acclamare segretario, ha fondato il movimento Sinistra, ecologia e libertà, e ha iniziato, del tutto coerentemente, a dichiarare che «i partiti sono morti»: in modo un po' spregiudicato, ma comprensibile.