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L'Arizona, i clandestini e la lattuga

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2010 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2010 alle ore 08:55.

Dopo i clandestini, l'Arizona deve adesso fare i conti con la lattuga. Visto che la durissima legge contro gli immigrati irregolari, varata il 23 aprile dal governatore repubblicano signora Jan Brewer, rischia di trasformarsi in un micidiale boomerang per la più fiorente e ricca produzione agricola dello stato. In queste terre, si coltiva, impacchetta e commercializza, in tandem con la California, il 95% di tutta la lattuga americana. Un primato mondiale di 50mila tonnellate, secondo solo a quello della Cina. Che per le tasche dei farmer dell'Arizona vale 1 miliardo di dollari l'anno.


Salvo, e qui nasce il problema, poter disporre della mano d'opera poco costosa e assolutamente insostituibile dei braceros messicani senza documenti. Che formano un vero e proprio esercito, stimato dal Department of Labor in 2,5 milioni, fatto di pendolari che attraversano ogni giorno il confine in mezz'ora di bus. Ma, soprattutto, da uno sterminato stuolo di stagionali che da ottobre a marzo, i mesi d'oro della prelibatissima lattuga iceberg, vivono a Yuma e dintorni accampati nelle roulotte appositamente predisposte dai proprietari agricoli.
Molti dei quali hanno cominciato la scorsa settimana a protestare contro un provvedimento a loro parere rischioso,. Un malcontento raccolto dalla potentissima Western Growers Association, il sindacato del 90% dei produttori agricoli di California e Arizona, secondo cui la messa in fuga della manodopera illegale rischia di mettere in pericolo gran parte della produzione che, non raccolta, è destinata a marcire nei campi. Il ricatto classico dei poteri forti quando vengono toccati negli interessi o l'eterogenesi di una crociata sbagliata contro i clandestini?


L'uno e l'altra. Ma se le ragioni del primo sono chiare, è su quelle della seconda, invece, che bisogna riflettere. Cercando di capire perché anche il recente, rumoroso ukase lanciato dall'Arizona rischia di finire affossato, come già accaduto ad altri in passato, dalle sue stesse interne contraddizioni. Non si può infatti annunciare la messa al bando dei clandestini senza prima fare i conti con le ragioni economiche della loro presenza. Tutte riassumibile nel semplice fatto che il lavoro straniero illegale dà una risposta, distorta ma reale, a una domanda del mercato. Che in settori fondamentali come l'agricoltura, l'edilizia e, soprattutto, i servizi ha un insaziabile bisogno di braccia disponibili per impieghi pochissimo qualificati. Introvabili sul territorio nazionale e che le politiche d'immigrazione anziché agevolare fanno di tutto per trasformare in un vero e proprio frutto proibito.

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Tags Correlati: Department of Labor | Jan Brewer | Normativa sull'immigrazione | Stati Uniti d'America | T. Jacoby | Western Growers Association

 


Il problema sta tutto qui. L'immigrazione clandestina non solo consente enormi guadagni agli imprenditori, ma offre loro ciò che non offre quella legale. Una forma di risposta just in time, deviata e alterata quanto si vuole, alle necessità dell'economia. Tant'è vero, ricordava T. Jacoby su Foreign Affairs del novembre 2006: «Se il Messico si trasformasse per miracolo in una nuova Svizzera, resterebbe comunque la necessità per gli Usa di reperire da qualche altra parte del mondo la manovalanza di cui abbisognano».

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