House Ad
House Ad
 

Commenti e Inchieste

Private equity in crisi d'identità

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2010 alle ore 10:04.
L'ultima modifica è del 29 maggio 2010 alle ore 08:04.

Appena ci sono notizie di un'azienda in vendita (Findus, Tirrenia, Rete Gas di Endesa, Liguria Assicurazioni etc) è abitudine ipotizzare che i soliti fondi di private equity si mettano in lista per comprare. Ma i casi in cui qualcuno comprerà sono diventati rari; vediamo perché. La vocazione del private equity è sempre stata quella di comprare aziende di proprietà familiare o rami d'azienda di gruppi industriali per migliorarne la gestione con iniezioni di manager e capitali, in modo da rivendere a operatori industriali non disponibili a fare essi stessi il lavoro di miglioramento o a correre i rischi di operazioni a forte leva; nei mercati anglosassoni l'uscita dall'investimento è stata anche la quotazione del 100% delle azioni. Di recente si è verificata l'anomalia dell'uscita dall'investimento con la vendita da un private equity a un altro, complice la disponibilità di leva finanziaria e l'interesse dei fondi di far "girare" gli investimenti in modo da poter finire rapidamente i capitali disponibili e raccogliere fondi sempre più grandi; si è visto però che in molti casi questa pratica lascia l'ultimo compratore con il cerino in mano.

Le crisi hanno come effetto quello di obbligare tutti a ritornare ai fondamentali; il private equity che compra deve ritornare ad avere come obiettivo il vendere l'azienda a un industriale, non a un suo simile, a meno che il piano di sviluppo possa continuare per un decennio e si possa passare il "testimone" da un fondo a un altro. Non ha senso per un private equity partecipare a un'asta nella quale già concorrono industriali in quanto non ha maggiori capacità gestionali, non ha sinergie con il business esistente, non ha maggiori possibilità di leva e non ha minori attese di rendimento; e se gli industriali non concorrono, che senso avrebbe per un private equity comprare sperando di poter poi rivendere a uno di loro, ovviamente a valori più elevati? Comprare significa semplicemente pagare più caro con la prospettiva di rivendere, a termine, senza guadagnarci. Eppure ogni tanto ci sono fondi che partecipano alle aste ma con motivazioni non nobili: quei fondi che non hanno più speranza di guadagnare la commissione di incentivo sui capital gain realizzati (carried interest) cercano di impegnare a ogni costo i capitali disponibili, anche senza prospettive di rendimento, in modo da assicurarsi le commissioni di gestione del 2% all'anno fino alla rivendita, magari anche in perdita per il Fondo (ma la società di gestione guadagna comunque un bel 10% senza faticare!). In qualche caso si partecipa per tenere in allenamento il team, ma senza intenzione di vincere.

L’articolo continua sotto

Tags Correlati: Findus | Fondi comuni | Italia | Italtel | Paul Valéry | Rete Gas | Technogym

 

Quando un fondo compra un'azienda il rendimento atteso dipende essenzialmente dal valore al quale si ipotizza di rivenderla dopo 3-5 anni, e questo dipende dal piano di miglioramento dei risultati (cash flow e Ebitda) e dai moltiplicatori (per esempio, prezzo/utili) che saranno applicati dal mercato all'exit. Un tempo si partiva dal presupposto che non fosse difficile vendere un'azienda che genera cassa, e tale ipotesi esentava dal ragionare in anticipo su chi potesse essere il compratore; oggi non è più così perché non è detto che fra qualche anno ci saranno tanti fondi in competizione. Vendere è possibile, ma a quanto? Ogni prezzo è il risultato di un equilibrio fra domanda e offerta. Nel 2006/7 i fondi di private equity raccoglievano capitali per 400 miliardi di dollari; nel 2009 il riferimento è meno di un quinto, se si escludono i capitali che sono stati dirottati verso l'Asia e settori del private equity diversi dai buyout. Questi capitali "scadono" progressivamente, in quanto gli impegni di investimento dei sottoscrittori dei fondi hanno durate al massimo quinquennali, per cui nel 2012 non ci saranno più capitali disponibili dal "raccolto" 2007, e i nuovi capitali saranno molto inferiori. Chi compra oggi un'azienda sa che quando sarà il suo turno di rivenderla l'equilibrio domanda/offerta sarà contro di lui, e si deve attendere moltiplicatori inferiori agli attuali; o oggi si compra a forte sconto o è tecnicamente impossibile attendersi un ritorno, a meno di saper migliorare molto i risultati. In un contesto di stagnazione è arduo ipotizzare che l'azienda da comprare possa esser fatta crescere, soprattutto se è già stata soggetta a una buona cura di managerialità.

In Italia nel portafoglio dei fondi ci sono circa cento aziende con fatturati superiori a 50 milioni di euro; l'uscita dall'investimento non dovrebbe esser difficile per quelle che hanno pluralità di compratori industriali potenziali mentre è problematica per quelle che hanno debiti sproporzionati alla redditività (per esempio, Ferretti, Pagine Gialle, Sirti, Grandi Navi Veloci, Argenta), vanno male (Italtel, Acc) o che non hanno un compratore con evidenti sinergie industriali. Nei casi più grandi l'uscita con la quotazione è possibile ma non facile (Giochi Preziosi, Technogym) perché occorre ipotizzare una crescita di risultati che continui nel tempo e il mercato vede male una quotazione fatta per permettere a un private equity di uscire dall'investimento. C'è un paradosso: aziende leader e ben gestite ma con poche possibilità di crescita valgono meno (in relazione agli utili) di altre con quote di mercato basse, mal gestite ma con possibilità di miglioramento e/o di integrazione con i concorrenti maggiori. In futuro i private equity che vorranno investire con profitto dovranno focalizzarsi sulla possibilità di rivendere le aziende, dopo la "cura" a un operatore industriale; dovranno stare alla larga da imprese per le quali non sia possibile ipotizzare una crescita di risultati o che siano già nel mirino di operatori industriali, e dovranno focalizzarsi su aziende di nicchia e di proprietà familiare che, dopo una cura di managerialità e iniezioni di capitali, possano trovare una casa definitiva in un grande gruppo. Le 50 transazioni all'anno che eravamo abituati a vedere si ridurranno a qualche decina, ma, come diceva Paul Valéry, «il futuro non è più quello di una volta».

Shopping24

Da non perdere

L'esempio di Baffi e Sarcinelli in tempi «amari»

«Caro direttore, ho letto (casualmente di fila) i suoi ultimi tre memorandum domenicali. Da

L'Europa federale conviene a tutti

Ho partecipato la scorsa settimana a Parigi a un incontro italo francese, dedicato al futuro

Non si può privatizzare la certezza del diritto

In questa stagione elettorale, insieme ad un notevole degrado, non solo lessicale, ma anche di

Le sette criticità per l'economia Usa

Quale futuro si prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale, inevitabilmente

Sull'Ilva non c'è più tempo da perdere

La tensione intorno al caso dell'Ilva non si placa. Anzi, ogni giorno che passa – nonostante i

Casa, la banca non ti dà il mutuo? Allora meglio un affitto con riscatto. Come funziona

Il mercato dei mutui in Italia resta al palo. Nell'ultimo mese la domanda di prestiti ipotecari è


Jeff Bezos primo nella classifica di Fortune «businessperson of the year»

Dai libri alla nuvola informatica: Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato di Amazon,

Iron Dome, come funziona il sistema antimissile israeliano che sta salvando Tel Aviv

Gli sporadici lanci di razzi iraniani Fajr-5 contro Gerusalemme e Tel Aviv costituiscono una

Dagli Assiri all'asteroide gigante del 21/12/2012, storia di tutte le bufale sulla fine del mondo

Fine Del Mondo, Armageddon, end of the World, Apocalypse? Sembrerebbe a prima vista roba da