Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2010 alle ore 09:16.
Telefonini intelligenti: dopo il clamore suscitato dal primo film, intitolato iPhone, la Nokia intende scrivere il sequel. Marko Ahtisaari, 41 anni, è incaricato di stendere la sceneggiatura. Ed è costretto a porsi qualche domanda di fondo. Chi è il leader? Il più grosso o il più autorevole? Nokia o Apple?
Il nuovo capo del design della Nokia sa che la domanda circola da quando, circa tre anni fa, il carisma di Steve Jobs ha attraversato il cammino fino ad allora sicuro del gigante finlandese dei telefonini. E resta aperta. Perché la Nokia continua a vendere una dozzina di volte più telefoni della Apple. Ma ottiene una frazione dell'attenzione conquistata dall'azienda californiana sui media. E sul mercato, come dimostra la sequela di imitazioni dell'iPhone, lanciate dai concorrenti. Il guru Peter Drucker diceva: «Management è fare le cose bene. Leadership è fare la cosa giusta». Ebbene, Marko Ahtisaari ha intenzione di trovare una risposta sorprendente: anche un gigante può fare la cosa giusta. Ma deve ribaltare parecchie abitudini. Perché il tema non è più quello di vendere buoni prodotti, ma riconquistare la leadership culturale.
Come? Cambiando il gioco. «Credo di dover abbattere alcuni dogmi» dice Ahtisaari riferendosi al mondo dei cellulari che ormai sembra voler parlare solo la lingua di Cupertino e della Silicon Valley. «La leadership della Apple, di Google, di Facebook è americana. Noi siamo un'azienda europea. E abbiamo qualcosa da dire».
Già. Ma che cosa? La difficoltà è immensa: la Apple è riuscita a ridefinire il business dei cellulari, facendolo diventare un insieme complesso nel quale si gioca sulla qualità del design, la semplicità e quantità delle funzioni, l'emozione dei contenuti, l'utilità dei servizi online. La Apple ha portato ai cellulari la sua esperienza nei computer connessi a internet e attivato un mercato totalmente nuovo di applicazioni, spesso realizzate da minuscole case di software in ogni parte del mondo, che conferiscono all'iPhone una gamma di funzioni che una sola azienda non avrebbe mai potuto progettare. Ha conquistato una centralità strategica che ha spiazzato gli altri produttori di terminali, ha generato un terremoto nel commercio elettronico, ha messo in difficoltà le compagnie telefoniche.
Nokia ha la possibilità giocare su un campo molto più largo di quello della Apple: può servire la fascia del mercato che vuole un buon telefono anche se poco intelligente; ha modo di offrire smartphone dotati di tutte le funzionalità principali al più basso prezzo sul mercato; ma è costretta anche a giocare sulla fascia alta degli smartphone costosi e attraenti come l'iPhone. La fascia dove si gioca la leadership culturale.
Sicché, Ahtisaari passa metà del suo tempo a pensare come ridefinire la relazione tra i telefonini e chi li usa. «Guardo le persone al ristorante. Chine sul loro cellulare, disattente nei confronti degli altri commensali. E penso che c'è qualcosa da migliorare». L'esperienza offerta dagli smartphone attuali è "immersiva". Tecnologia persuasiva, come direbbe BJ Fogg, il cellulare che si comanda toccando lo schermo invita a concedere alla macchina tutta l'attenzione. «Ma per me è più importante che le persone si guardino negli occhi. E che il cellulare se ne stia al suo posto». Concezione generosa, per un designer: vuole che i suoi prodotti si tolgano di mezzo per lasciare gli umani al centro della scena. «Questo è coerente con la nostra identità: Nokia non è stile di vita. Nokia serve e facilita le comunicazioni tra le persone. Ma dobbiamo portare questo concetto a un nuovo livello».
Ahtisaari possiede i fondamentali per far entrare la Nokia nel nuovo millennio. La sua cultura si è formata in una serie di start up nel mondo veloce dei social network. Negli anni in cui suo padre, Martti, lavorava con la pazienza del diplomatico in Kosovo, prima di essere premiato con il Nobel per la Pace, Marko era ceo di Dopplr, una piattaforma per condividere informazioni di viaggio. Giunto alla Nokia, ha cominciato unificando i gruppi che si occupano di progettare hardware e software. E lavora a stretto contatto con chi sviluppa i servizi online, da Ovi - la piattaforma per le applicazioni da usare sui cellulari Nokia - al gruppo che sviluppa i servizi sulle mappe, in grande spolvero in questi giorni per essere state adottate da Yahoo!. E sa dove giocare la sua prossima partita.
«I social network basati sulla pubblicità sono costretti a tentare di concentrare tutta l'attenzione su di sé e tendono a confondere il confine tra la rete di amici privati e la comunicazione pubblica. E devono crescere, conquistando sempre nuovi utenti che abbiano un numero sempre maggiore di connessioni». Come si vede nel caso di Facebook. «Noi staremo sempre dalla parte dei piccoli gruppi che comunicano. Ci concentriamo sulle relazioni che si sviluppano nella cerchia di amici fidati e vicini. E la dobbiamo servire con un mosaico di servizi che non s'intromettano tra le persone, portando la loro vita in piazza. Saremo sempre dalla parte della privacy anche se questo rallentasse la crescita del servizio».
1 TRE STADI Quando in rete tutti sapevano tutto di tutti La premessa. La privacy online? Ma non esiste, ovvio. La frase è di Scott McNealy, allora capo della Sun, e risale a 10 anni fa. Un manifesto aziendale e un mantra ideologico. Nell'ansia di ridurre il mondo a villaggio globale, la rete travolge tutti nell'euforica rincorsa allo scambio. È il grado zero di Internet, all'insegna dell'anglismo "sherare", condividere: tutti vogliono conoscere tutto di tutti. Rinunciare per questo a un pezzetto di riservatezza sembra il minore dei mali. Il trionfo con Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook. Nato per ritrovare "i compagni di scuola" persi di vista, il social network diventa presto un must. Esserci equivale a essere.
2 Facebook e Google corrono ai ripari Il ripensamento. La corsa vertiginosa di Google si trasforma in un percorso ad ostacoli. Nei giorni scorsi le mappe del servizio Street View ritraggono volti di ignari passeggeri. Che protestano. Il colosso di Mountain View decide di sospendere il lancio del suo nuovo software di riconoscimento facciale. E mette limiti a Google Buzz, il nuovo social network introdotto in modo da connettere direttamente gli utenti ai loro corrispondenti più frequenti su Gmail. Lo stesso decide di fare Facebook. Un tentativo di arginare il calo di contatti e di iscritti: i social network scoprono che la privacy ha un valore. Non solo filosofico, ma economico. 3 Niente segreti? Solo per chi dico io Lo scenario possibile. I social network si mostrano per quel che sono: non un mezzo nel quale coltivare le "amicizie", ma una casa senza porte e con pareti di vetro. Secondo i calcoli di SearchEngineLand, il numero degli utenti attivi sta crescendo sempre meno rapidamente. Forse perché gli stessi utenti hanno intuito un possibile sviluppo a due vie. Social network ristretti a pochi con una soglia di privacy tendente al minimo; uso del web più allargato con minori dati personali "dispersi". In questa direzione va lo scenario disegnato da Marko Ahtisaari: social network minimal per amici "veri".