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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 09:10.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2010 alle ore 09:11.
La radice prima delle critiche che vanno appuntandosi sullo scrittore Roberto Saviano è l'invidia. Ciascuno dei polemisti che osteggiano in queste ore il saggista napoletano si adonterà subito davanti a questa palmare verità, qualcuno agguanterà la tastiera del portatile per nuovi sfoghi polemici, senza cambiare la realtà.
Invidia per il successo di Roberto, il suo best seller, la fama che comporta, la firma in prima pagina, le interviste, i festival. L'amicizia di Salman Rushdie e Orhan Pamuk, l'accesso a quel dialogo internazionale tra pari che i suoi critici intravedono a malapena sui rotocalchi alla moda e – come la vecchia volpe della vecchia favola davanti alla vecchissima uva – disprezzano perché non sanno ottenere. Dimentichi della persecuzione e delle sofferenze che Saviano patisce, ogni giorno.
Fin qui, ci sarebbe poco da aggiungere se non un fraterno monito, «Robé, così è la vita, e così è soprattutto la vita in Italia, "Nessuno ti perdona una buona azione da noi", amava dire Enzo Ferrari, il Drake». Sono però le altre, più velenose, radici dell'avversione per l'autore di «Gomorra» che vale la pena di analizzare.
Esse si distinguono in due grandi viluppi. Il primo, appannaggio di libellisti e propagandisti di centro-destra, accusa Saviano di essere l'ennesimo girotondino antiberlusconiano, un ipocrita che vende libri grazie alla Mondadori del premier, ma lo critica nei talk show. Qualcuno, mettendo mano a un canard diffuso dai giornali locali controllati dai clan camorristi, gli dà del falsario.
La morale è semplice: azzerare l'analisi complessa che Saviano fa del Sud d'Italia nel 2010 alla modesta cifra del «Dalli a Berlusconi!», e sterilizzare l'influenza di «Gomorra» sulla parte del paese che vota e si riconosce nella maggioranza, senza condonare, o sentirsi neutrale, davanti al racket della malavita organizzata.
Il secondo viluppo, appannaggio di libellisti e propagandisti di centro-sinistra, accusa Saviano di essere l'ennesimo paladino del postmoderno, un ipocrita che vende libri grazie alla Mondadori del premier, ma si guarda bene dal criticarlo a fondo nei talk show. Qualcuno, mettendo mano a un canard diffuso dai giornali controllati dai clan snob, gli dà del sempliciotto. Anche questa morale è semplice: azzerare l'analisi complessa che Saviano fa del Sud d'Italia nel 2010 alla modesta cifra del «Non dai abbastanza contro Berlusconi!», che se fa vendere qualche copia di libri e quotidiani, svanisce davanti alla sfida della crisi economica che ha diluito la fiducia nell'opposizione.