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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2010 alle ore 12:17.
L'ultima modifica è del 11 giugno 2010 alle ore 08:04.
La cronaca e i recenti risvolti politici hanno riportato alla luce il dibattito sull'ondata di casi legati alla corruzione nelle opere pubbliche i cui echi si erano persi negli ultimi mesi. Come già altre volte in passato, neppure questa volta la discussione si è allontanata dalla diatriba tra "poche mele marce" e "sistema da cambiare". Sugli effetti nascosti di questo fenomeno, pure cruciali per la vita economica di un paese moderno, si avverte purtroppo una pericolosa distrazione.
Sono passati quattordici anni, appena fuori dall'uragano di tangentopoli, dal giorno in cui, durante un seminario organizzato nell'ambito di un progetto di ricerca della European Science Foundation, di fronte a una rappresentazione della mappa delle connessioni e delle alleanze tra le grandi imprese di costruzione italiane impegnate nelle opere pubbliche, talmente fitta da non riuscire a distinguere chi fosse collegato con chi, un ricercatore tedesco commentò dicendo: «This is a black hole», questo è un buco nero.
Allora, nel team italiano impegnato nella ricerca, definimmo quell'intreccio di connivenze come una rete di indebtedness, ossia di un sistema di obbligazioni reciproche, di favori prestati e ricevuti, di appalti divisi a tavolino e di un mercato nei fatti inesistente. Anche allora, degli effetti di questo sistema erano note soprattutto le implicazioni politiche, e dunque la diffusione di comportamenti concussivi e corruttivi, le forme di finanziamento della politica e delle carriere politiche e il costo abnorme delle opere pubbliche scaricato sull'economia del paese.
Meno evidenti e discussi erano gli effetti sulle imprese che pure da quella ricerca emersero in modo chiaro: un sistema di imprese debolissimo sul piano della capacità di competere nei mercati internazionali, un numero impressionante di imprese piccole se non minuscole, per nulla capitalizzate e dominate da famigli senza nessuna competenza, neppure quella nobile e operaia dei padri o dei nonni lattonieri-imprenditori. Imprese che bilanciavano una scarsa competenza tecnica e manageriale con un eccesso di capacità relazionale e di lubrificazione dei meccanismi corruttivi. Il risultato era l'assenza di qualsiasi forma di innovazione, nessuna risorsa dedicata all'innovazione, un capitale umano di qualità scadente.