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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2010 alle ore 08:04.
Ritratto di Enrico Cuccia da giovane. Il senso dell'umorismo, la qualità del lavoro, l'apprezzamento dei superiori e, in fondo, anche il rapporto ironico con il potere. Che, allora, era quello degli altri. Dai documenti inediti che Il Sole 24 Ore ha potuto consultare, del Cuccia venticinquenne impegnato all'ufficio di Londra della Banca d'Italia emerge un profilo umano interessante e divertente. C'è il suo capo, Giuseppe Nathan, che in una lettera del 16 luglio del 1932 scrive al governatore della Banca d'Italia, Vincenzo Azzolini, di averlo incoraggiato a realizzare brevi studi su problemi di attualità.
Studi da spedire a Roma in cui avrebbe potuto esprimere il suo punto di vista: «Mi pare che, malgrado inevitabili peccati di gioventù, il lavoro abbia del merito, e ritengo che il dott. Cuccia ne manderà prossimamente una copia all'On. Beneduce che ha sempre dimostrato per lui una grande benevolenza». Di Beneduce, uomo centrale nella politica economica del fascismo, Cuccia avrebbe sposato sette anni dopo la figlia, Idea Nuova Socialista.
Allora, a Londra, il giovane Cuccia, che conosce bene l'ambiente della City e della Banca d'Inghilterra dove partecipa ai seminari di John Maynard Keynes, è impegnato soprattutto a capire, e a raccontare, cosa succede sui mercati finanziari. Ogni giorno, infatti, chiama dall'ufficio al 43 di Hill Street i colleghi di Via Nazionale, che ne registrano i rapporti telefonici e li trascrivono. Il 21 marzo del 1932, per esempio, segnala «Borsa debole-mercato impressionato per fallimento negoziati per contingentamento produzione caucciù. Mercato caucciù disorientato non si fanno prezzi per la materia prima». E, nell'opacità che caratterizza gli equilibri monetari, il 20 dicembre dell'anno dopo Cuccia rivela ai suoi colleghi in Italia: «Risulta che ieri l'America ha importato per un ammontare di 700mila sterline oro da Londra e qui a Londra dicono che abbiano fatto acquisti rilevanti anche da Amsterdam e da Parigi».
C'è, poi, l'umorismo di Cuccia, uno dei tratti caratteriali che quando diventerà il più influente banchiere italiano sarà fra i più citati, ma i meno documentati perché disciolto nel riserbo personale e nelle conversazioni private. In questo caso, invece, tramite la filigrana della lettera del 29 settembre del 1933 (anno undicesimo dell'era fascista, è scritto in calce) inviata al dottor Pennacchio, suo diretto superiore e responsabile delle attività estere della Banca d'Italia, si coglie tutta la sua ironia, nell'aggettivazione volutamente calcata: «Eccole un lussuoso catalogo Burberry: e resto in attesa di conoscere la sua scelta per procedere all'acquisto di un magnifico impermeabile, che sarò ben lieto di portare io stesso a Parigi nella mia prossima progettata gita in Continente».