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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2010 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 24 giugno 2010 alle ore 08:52.
I n un articolo pubblicato ieri sul Sole 24 Ore e sul Financial Times Martin Wolf definisce non convincenti i risultati di un lavoro di ricerca di Silvia Ardagna e del sottoscritto. In quel saggio abbiamo esaminato in dettaglio la storia di tutte le riduzioni forti di deficit pubblici dal 1970 ai giorni nostri in tutti i paesi Ocse. I nostri risultati sono che: primo, tagli alla spesa pubblica che riducono i deficit non provocano sempre recessioni, anzi spesso sono associati ad aumenti immediati di crescita; secondo, aumenti di imposte sono fortemente recessivi, quindi dovendo ridurre i deficit conviene farlo dal lato della spesa, soprattutto in paesi dove la pressione fiscale viaggia verso la metà del Pil.
Wolf ipotizza che questi risultati non si applichino oggi perché i tassi di interesse sono bassi, la disoccupazione è alta e l'ouput gap negativo. E che quindi il pericolo è che riducendo la spesa si torni alla recessione.
La tesi di Wolf fondamentalmente si basa sul presupposto che l'evidenza empirica ha dimostrato errato, ovvero che la spesa pubblica stimoli molto l'economia e quindi che tagli di spesa siano molto dannosi. Non è vero: in genere l'effetto in entrambe le direzioni è molto basso soprattutto tenendo conto che più spesa significa prima o poi più tasse. Molti studi recenti lo confermano, compresi quelli spesso citati di Roberto Perotti e di Olivier Blanchard, il capo economista del Fondo monetario internazionale.
Quindi se si taglia la spesa, quando l'economia cresce (come sta crescendo oggi) l'effetto recessivo è basso o inesistente. Gli effetti poi di eventuali tagli di spesa in un paese, diciamo gli Usa, su altri, diciamo l'Europa, sarebbero ancor più bassi: le preoccupazioni di Wolf sull'«aggiustare tutti (o quasi) insieme» sono dunque esagerate.
Wolf ha ragione nel sostenere che in un momento di grave recessione uno stimolo fiscale dovuto sia agli ammortizzatori automatici che a qualche stimolo discrezionale possa servire. Perfino Robert Barro (un antikeynesiano doc) in un lavoro di circa un anno fa lo ammetteva, scrivendo che i moltiplicatori fiscali di cui sopra sono un po' più alti durante le recessioni (un po' più si badi, non enormi). E, infatti, mai mi sarei sognato d'invocare un aggiustamento fiscale nel 2008-2009 anche quando i deficit pubblici stavano salendo paurosamente.