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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2010 alle ore 08:04.
Chi ha voluto leggere nell'esito del referendum di Pomigliano d'Arco quasi un fallimento dell'accordo tra azienda e sindacati ha visto una realtà non diversa da quella della signora Ponza pirandelliana: «Io son colei che mi si crede». Tolti gli occhiali deformanti della partigianeria, la buona maggioranza, non plebiscitaria, che ha detto sì all'accordo torna ad essere quello che è: un ok all'accordo, ma senza carta bianca per la Fiat.
Una risposta razionale, si direbbe weberiana, da parte degli operai della Fiat alla situazione che avevano di fronte. Sopravvalutare oggi il senso dei no significa fare un torto all'intelligenza e alla logica di quei lavoratori. Ma non è da oggi che gran parte della politica italiana, a cominciare dalla sinistra, ha finito di capire quel mondo. Per la stessa ragione non regge la logica di chi oggi se la prende con il vigore del decisionismo di Sergio Marchionne. Quasi che quei no siano il frutto della sua "franchezza" un po' ruvida fino a ieri esaltata da tutti. Il referendum di Pomigliano è andato com'era logico che andasse: i lavoratori hanno fatto con razionalità i lavoratori, Marchionne con razionalità Marchionne. E la storia di Pomigliano continua.