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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2010 alle ore 10:45.
L'ultima modifica è del 26 giugno 2010 alle ore 11:22.
Se non fosse per le sconcertanti vicende innescate dalla fine del mandato di Lamberto Cardia, sarebbe del tutto ovvio ricordare che tutti i maggiori paesi riconoscono che il funzionamento di certi settori del sistema economico - politica monetaria, sistema bancario, mercati dei beni e servizi, mercati finanziari, servizi pubblici - devono essere sottoposti ad Autorità indipendenti: riconoscono cioè che ci sono attività da svolgere e valori da preservare che è bene sottrarre agli interessi di governi e governanti, oltre che ovviamente a quelli dei soggetti controllati.
Non fosse per le proposte di cui si legge, sarebbe inutile ricordare che, proprio perché l'indipendenza è un concetto arduo da definire al di là di ogni incertezza, e una pratica difficile da seguire al di sopra di ogni sospetto, sono i criteri di selezione, le procedure di nomina, i termini dei mandati a definirla, e la reputazione stratificata negli anni a garantirla.
I componenti delle Autorità sono scelti dalla politica, a volte, come nel mai abbastanza esecrato caso dell'Autorità delle comunicazioni, diventano un parlamentino. Ma poiché, una volta nominati, non possono essere revocati dal governo, sono in condizione di poter essere indipendenti. Se invece il governo gli dimostra che sarà lui a gestire il loro futuro a mandato scaduto, lede in radice e per sempre il principio stesso d'indipendenza delle Autorità: cioè la loro ragion d'essere. È questo quel che è successo e che potrebbe succedere.
È successo con l'uscita dell'attuale presidente Consob. Il mandato di ogni componente dura per legge 7 anni, non rinnovabili. Cardia, prima come commissario, poi come presidente, ha cumulato un totale di 13 anni. Vanificati i tentativi per prolungarne ancora la permanenza, e i pretesti (dalla crisi finanziaria alla sua insostituibilità) per giustificarli, Cardia, superata l'età in cui vanno in pensione i professori universitari, viene mandato dal governo alla presidenza delle Ferrovie dello stato, una società totalmente pubblica, con un amministratore delegato che sembra riesca perfino a far funzionare i treni, dove quindi a prima vista potrebbe bastare il distacco di un valido funzionario del Tesoro: senza ulteriori oneri per lo stato. Invece questo finale di partita espone a sospetti l'operato di chi gli succederà, mina la credibilità nelle future decisioni della Commissione. Soprattutto reca un danno irreparabile alla immagine d'indipendenza della Consob.