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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2010 alle ore 08:35.
Anno 1776. Una vedetta della fanteria inglese corre verso le retrovie. Il capitano l'attende. Le giubbe rosse sono armate di tutto punto. Lo scout arriva affaticato e terrorizzato. Quasi non riesce a parlare. Le notizie non sono buone. Nel bosco ha visto qualcosa che si muove nella loro direzione. Il capitano dà l'ordine. I soldati si mettono in posizione. Armano i moschetti. Il vento gonfia le bandiere di Sua Maestà britannica. Un violino solitario suona una musica malinconica. Siamo nel pieno della guerra per l'indipendenza delle colonie americane. L'attesa è snervante.
Poi il colpo di scena. Dal bosco escono a tutta velocità tre automobili super sportive di casa Chrysler. Quella al centro sventola dal finestrino una gigantesca bandiera a stelle e strisce. L'auto è guidata da un generale in parrucca bianca, George Washington. Dietro le Dodge ci sono le truppe rivoluzionarie, i ribelli delle colonie, le milizie, i minutemen, i membri dei Tea Party. L'America che risorge, che conquista la libertà, che sconfigge il tiranno.
Il nuovo spot televisivo della Dodge Challenger, vettura sportiva e muscolosa di lungo corso, interpreta lo spirito politico del tempo, intercetta il sentimento antistatalista e sintonizza le antenne del marketing americano sul movimento di protesta liberista dei Tea Party, ovvero sulla grande novità politica, culturale e sociale degli ultimi tempi, nata nel pieno dell'era Obama per contrastare l'intervento dello stato e le politiche economiche di spesa.
L'America sa fare molto bene due cose, recita lo spot: cars and freedom, macchine e libertà. Sulla prima qualche dubbio c'è, visto che l'intera industria automobilistica americana si è sciolta come il burro, è stata rilevata dal governo federale e nel caso della Chrysler, il gruppo di cui fa parte il marchio Dodge, si è dovuta affidare a una società italiana che fino a qualche decennio fa era nota perché lasciava spesso in panne i suoi clienti (Fiat: Fix It Again, Tony, riparala ancora, Tony).
Fiat e Chrysler hanno abbandonato Obama, con questo omaggio ai suoi detrattori più arrabbiati? Sergio Marchionne ovviamente non commenta. Consapevoli che lo spot è stato pagato dai contribuenti, i suoi uomini precisano in pieno spirito da Tea Party di aver risparmiato per girare la pubblicità, grazie al riciclo dei costumi di un vecchio film di Mel Gibson.