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Commenti e Inchieste

Bentornato, signor Schumpeter

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 08:06.
L'ultima modifica è del 08 luglio 2010 alle ore 08:57.

Il dibattito sulla politica economica si è polarizzato tra chi sostiene la priorità del sostegno della domanda e chi invece pone al primo posto il consolidamento fiscale. Ma occorre spostare il dibattito oltre. La vera sfida è passare da una crescita trainata dalla politica economica a una crescita sostenibile e sostenuta dal mercato. Senza una crescita autosostenuta il consolidamento fiscale non sarà possibile. Ma la sostenibilità non si raggiunge con il sostegno della domanda da parte della politica macroeconomica. Questo non vuol dire che non ci sia bisogno della politica economica.

Al contrario. La politica economica deve costruire le basi per una crescita forte, sostenibile ed equilibrata.
Ci sono quattro strade per la crescita alle quali la politica economica può dare un contributo fondamentale. La prima nasce dalla necessità di mettere riparo ai danni della recessione sulla crescita potenziale. Danni che si sono manifestati soprattutto attraverso la disoccupazione e la caduta dell'investimento. Qui il compito per la politica economica è duplice. Nei mercati del lavoro bisogna passare da misure di breve periodo che, soprattutto in Europa, hanno permesso di contenere la caduta dell'occupazione a misure di medio periodo che facilitino la riallocazione del lavoro verso imprese e settori più produttivi. Bisogna poi completare la riforma dei mercati finanziari che ne accresca la stabilità e favorisca gli impieghi a favore dell'economia reale.

La seconda strada per la crescita passa per il rafforzamento delle economie emergenti. Cina, India, Brasile stanno trainando l'economia globale fuori dalla recessione grazie a un potenziale di crescita assai elevato e alla possibilità di utilizzare lo strumento degli investimenti pubblici con molto meno vincoli di quanto non avvenga nelle economie avanzate. Ma il potenziale di crescita di queste economie può essere significativamente rafforzato e reso più autosostenuto con riforme volte a migliorare l'istruzione, i sistemi fiscali e i mercati del lavoro.

La terza strada per la crescita riguarda i global imbalances, gli squilibri delle bilance correnti che hanno caratterizzato il periodo precedente la crisi e che ora, con l'uscita dalla recessione, si stanno riallargando. Rendere gli squilibri dei pagamenti più sostenibili nel lungo termine significa riequilibrare la domanda interna nei principali paesi. Ma significa anche rafforzarne le fonti della crescita. Oltre a una maggiore flessibilità dei tassi di cambio ciò richiede misure di natura strutturale.

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Tags Correlati: Cina | Europa | Libera Università Internazionale degli Studi Sociali | Ocse | Politica economica

 

Nei paesi emergenti in surplus, come la Cina, il risparmio di famiglie e imprese, decisamente troppo alto, può essere diminuito rispettivamente con la riforma dei sistemi di protezione sociale e con lo sviluppo dei mercati finanziari. Nei paesi avanzati in surplus, come la Germania, il problema è l'investimento troppo contenuto, che potrebbe essere significativamente accresciuto dalla liberalizzazione dei servizi, dove la produttività è molto inferiore a quella del comparto manifatturiero. Nei paesi avanzati in deficit, in primo luogo gli Stati Uniti, occorre accrescere il risparmio privato tramite la modifica degli incentivi fiscali e della tassazione oltre che con la riforma del sistema finanziario. In definitiva, politiche strutturali diversificate per paese ma attuate all'interno di un quadro coordinato globale (come quello del G-20) potrebbero ottenere il duplice risultato di rendere la crescita globale più solida e più equilibrata.

Ma probabilmente la strada dove i risultati sarebbero più significativi e duraturi è l'innovazione. Come documentato dall'Ocse, gli investimenti in attività legate all'innovazione, dalla ricerca e sviluppo alla formazione del capitale umano, ai beni immateriali, spiegano oltre la metà della crescita della produttività nei paesi avanzati nel decennio precedente alla crisi. Il rapporto dell'Ocse mostra come il processo d'innovazione sia divenuto assai complesso, andando ben al di là dello sviluppo e dell'introduzione di nuove tecnologie, per comprendere l'innovazione non tecnologica e organizzativa. L'innovazione, inoltre, sta diventando sempre più aperta a forme di collaborazione tra imprese oltre che a forme di concorrenza.

Alla complessità del processo deve corrispondere l'articolazione delle politiche che devono essere organizzate in una strategia coerente che coinvolga tutte le componenti del governo dell'economia. Le misure specifiche non potranno non riflettere le differenze istituzionali e di stadio di sviluppo, ma dovranno tener conto del fatto che l'innovazione si sviluppa dove le imprese sono poste nelle migliori condizioni di operare. Soprattutto le imprese giovani, che nascono piccole, ma devono potersi sviluppare in dimensione e qualità.

Infine, l'innovazione deve essere lo strumento fondamentale per la transizione alla economia verde. Questa comporterà cambiare sia l'offerta, con il passaggio a nuove tecnologie pulite, la domanda, con il passaggio a nuove strutture di consumo. Tutto ciò richiederà, inevitabilmente, un'innovazione profonda anche del ruolo dello stato e della politica economica, che, anche a causa di bilanci pubblici molto più stringenti che in passato, dovrà essere più selettiva e più "intelligente".

Insomma, al dibattito sulle sfide della politica economica del dopo-crisi oltre a Friedman e a Keynes bisogna invitare anche Schumpeter.

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