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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2010 alle ore 09:35.
Troppo affrettata è stata l'enfasi del G-20 sull'esigenza di riportare il rigore nei bilanci pubblici, esagerata è l'ossessione alla Bce nel mantenere l'inflazione al 2% e controproducente per l'Europa l'ostinazione della Germania a prevedere un severo piano di austerità pluriennale. È la posizione espressa dell'economista americano Paul Krugman, in una intervista telefonica e via web concessa a un gruppo di giornali internazionali tra i quali Il Sole 24 Ore.
Se politiche espansionistiche verranno abbandonate prematuramente, Krugman vede concretizzarsi il rischio di una jobless recovery, un periodo di bonaccia in cui l'economia europea e mondiale non sarà in grado di recuperare i posti di lavoro persi negli ultimi due anni.
Professor Krugman, l'accordo del G-20 a Toronto per ridurre i deficit è stato una delusione per un keynesiano come lei?
Sì. Non mi è piaciuto il tono: «Ok ora abbiamo finito di sostenere la domanda ed è tempo di austerità». Un messaggio scioccante, perché siamo molto lontani da una vera ripresa dell'economia mondiale. Sono amareggiato e sorpreso che una linea oltranziasta sia rapidamente diventata ortodossia, senza prove convincenti. Ho letto i discorsi del presidente Herbert Hoover nel 1932 ed è incredibile come ampi stralci assomiglino alle cose che dice ora Trichet. Una resurrezione di vecchie visioni, molto deprimente.
Crede che l'austerità prematura in Europa possa provocare nuova recessione?
Una ricaduta in una vera nuova recessione con contrazione del Pil resta improbabile, ma c'è il rischio che i fragili miglioramenti nel mercato del lavoro si annullino e che la crescita rallenti al punto da vedere risalire la disoccupazione. Il double dip, la ricaduta è improbabile, ma la jobless recovery, la ripresa debole senza lavoro è probabile e la cosa mi spaventa.
La domanda cinese non può salvare il mondo?
Parte della mia ansia deriva dal fatto che è duro vedere cosa può trainare la crescita mondiale. La Cina è composta da un gran numero di persone ma in termini di tasso di scambi di mercato resta come il Giappone e nessun pensa che Tokyo possa essere il motore della crescita. Bisognerebbe che i paesi emergenti fossero pronti ad accogliere enormi flussi di capitali. Altrimenti, alla fine del 19° secolo stimoli arrivarono quando nuove tecnologie raggiunsero il mondo industriale, ma l'iPad non è abbastanza.