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Agenda Mussari: la rivoluzione può attendere

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 09:54.
L'ultima modifica è del 10 luglio 2010 alle ore 08:04.

Il passaggio delle consegne al vertice dell'Abi, l'Associazione bancaria italiana, è previsto giovedì prossimo: fuori Corrado Faissola, dentro Giuseppe Mussari. Ma per l'esordio vero del nuovo presidente sarà necessario attendere un paio di settimane. Più precisamente andrà in scena mercoledì 28 luglio, quando Mussari presenterà al comitato esecutivo il documento a cui sta lavorando sulle linee programmatiche per il prossimo biennio.

Lo scenario è quello di un'Abi da tempo di crisi, impegnata a fondo nella difesa del sistema, nella consapevolezza che, per almeno una parte delle banche, quelle più deboli, le distrazioni potrebbero rivelarsi fatali.
Il vertice dell'Abi non può permettersi di sbagliare e dovrà arginare la tentazione della politica di far pagare alle banche una parte del conto da saldare per il risanamento del debito pubblico. Mussari lo farà seguendo due principi che gli sono cari. Una delle frasi ripetute con una certa frequenza sottolinea che lui «non crede nelle rivoluzioni perché dopo, inesorabilmente, arrivano sempre un congresso di Vienna e la restaurazione». La seconda nega l'opportunità di «un uomo solo al comando», perché i risultati migliori sono quelli derivanti dal lavoro di squadra.
Le premesse ci sono. La nomina di Mussari ha come sponsor gli azionisti delle principali banche. A partire dalle fondazioni. E l'appoggio convinto sia dell'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, sia del collega Alessandro Profumo di UniCredit, ospite d'onore all'ultimo Palio di Siena, quello di venerdì 2 luglio. Le priorità del nuovo presidente sono riguadagnare reputazione al sistema bancario (che ha pagato caro la crisi epocale della finanza), ridurre la conflittualità con il mondo delle imprese (schierate spesso su fronti opposti), rendere più snella e meno ingessata la rappresentanza bancaria (accusata a volte di gigantismo).


Mussari lo farà con l'attenzione che lo caratterizza al rispetto delle liturgie. Ma anche sottolineando la necessità, richiesta dalle difficoltà del momento, di una svolta. Di sicuro va in scena un film che vede il protagonista, non ancora cinquantenne, accelerare nella costruzione della rete di consensi costruita soprattutto grazie al rapporto preferenziale con il grande vecchio delle fondazioni: Giuseppe Guzzetti, il presidente dell'Acri, l'Associazione delle casse di risparmio. Un rapporto nato all'inizio degli anni 2000, quando Mussari era presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena e numero due dell'Acri, già allora guidata da Guzzetti. Il salto di qualità è stato il duro scontro del 2004 con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che alla fine uscì di scena dimissionario.

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L'abc del potere vero, quello dei maestri dc della Prima Repubblica, prevede la paziente ricucitura di ogni strappo e così è stato con Tremonti. Mussari è, e sarà sempre più, un presidente che, dice chi lo conosce bene, «siede a tutti i tavoli», lontana nel tempo la matrice della sinistra senese, pronto piuttosto a ricordare che nel dna del Monte Paschi c'è l'essere da sempre una banca molto vicina a Silvio Berlusconi e alla costellazione Fininvest-Mediaset. Il gioco di sponda sarà con il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, con il presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini, con il mondo del sempre attento Giuliano Amato. Ma anche, come insegna Guzzetti, perfino con uomini della Lega Nord, tra cui spicca l'influente Giancarlo Giorgetti, segretario del partito in Lombardia.

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