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Teoria in cerca di exit strategy

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2010 alle ore 08:26.


Era un sogno. La scienza economica - una parte, almeno - ha accarezzato per anni l'illusione di avere un unico metodo. Capace magari di sostenere, di volta in volta, questa o quella scelta politica. Come se fosse davvero possibile, in una controversia, sedersi di fronte ai nostri abachi elettronici e calcolare.
La polifonia delle scuole economiche non si è mai trasformata in monodia e forse non poteva. A dividere gli economisti c'è sempre stata una faglia importante: quella tra chi ritiene utile avere come stella polare un'idea astratta di mercato, privo di moneta, che tende quasi sempre all'equilibrio - tenendola in tensione con la realtà disordinata degli scambi, dei prestiti e soprattutto del lavoro - e chi pensa che sia meglio credere che quell'equilibrio non si raggiunga mai, per l'incertezza della realtà, per il ruolo travolgente del denaro, per la natura dei mercati o le diseguaglianze sociali.
Alla scuola dell'equilibrio appartiene la grande corrente ortodossa, quella della sintesi neoclassica. È lei che ha alimentato il sogno di un metodo unico e infatti in essa convivono posizioni liberiste e interventiste. Disegna un mondo un po' irreale, dove famiglie e imprese massimizzano utilità e profitti e il denaro è un "velo" ininfluente nel lungo periodo. Su queste basi, con tanta matematica, prova allora ad assorbire intuizioni delle altre scuole. Con Michael Woodford l'approccio ha così raccolto anche la sfida della nuova macroeconomia classica, erede del monetarismo, attenta alla microeconomia, e da sempre scettica sulla politica economica che "mangia se stessa". La distinzione tra le due scuole è ora molto labile, ed entrambe sono state accomunate dall'incapacità di prevedere e spiegare la crisi.
Qualcun altro, invece, l'aveva vista: e non sorprende che sia tra coloro che considerano "naturale" lo squilibrio. Gli austriaci innanzitutto, eredi di Ludwig von Mises. Amati dai mercati finanziari, sono ultraliberisti a cui non spaventa riconoscere che il "processo di mercato" non può fermarsi, né che un flusso eccessivo di denaro sia dirompente. Imprigionata in un aristocratico manierismo privo di matematica, avversaria delle regole, la scuola ama due istituzioni che delle norme hanno però bisogno: le corporations, quasi impossibili senza responsabilità limitata, e la riserva bancaria al 100 per cento.

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Hanno visto arrivare la recessione anche gli economisti della galassia postkeynesiana, soprattutto quelli legati all'altro nume nascosto di Wall Street, Hyman Minsky. Conservando l'enfasi sulla piena occupazione, irraggiungibile spontaneamente, sono interventisti al punto, a volte, da dimenticare i danni del debito pubblico. Rifiutano l'approccio della massimizzazione e sono attenti al ruolo della moneta. Vicini a essi sono anche gli ultimi eredi del marxismo (più che di Marx, condannato a restare ancora un monumento), concentrati sui conflitti sociali e affannati nella ricerca di un'ortodossia; e la promessa mancata della scuola di Piero Sraffa, raffinata, adattabile a tanti assetti istituzionali, concentrata però sul lungo periodo e un po' disattenta al ruolo della moneta. Solo per lei la crisi non è stata l'occasione per far risentire la sua voce.
Quante tribù... In concreto sono spesso le scelte e i preconcetti politici a dividerle davvero. Non sempre i discorsi dei liberisti di scuole alternative - o degli interventisti - sono davvero così diversi: le differenze tra le proposte - troppe volte "one-size-fits-all", "a taglia unica" - sono di grado, non di natura. E il cittadino che cerca consiglio (e magari lavoro) si ritrova a pensare, un po' sconsolato, che la realtà è molto più complessa della loro filosofia.
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Gli italiani e le scuole
Duccio Cavalieri Università di Firenze
Giovanni Mazzetti Università della Calabria
Emiliano Brancaccio Università del Sannio
Guido Tabellini Università Bocconi di Milano I filoni della ricerca neomarxista italiana vedono alcuni tra i suoi interpreti in Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo), Stefano Perri (Università di Macerata), Duccio Cavalieri (Università di Firenze), Giovanni Mazzetti (Università della Calabria). Di impostazione marxista, ma aperti ad innovazioni ispirate da Keynes e Sraffa, sono Giorgio Lunghini (Università di Pavia), Ernesto Screpanti (Università di Siena) ed Emiliano Brancaccio (Università del Sannio).
Neomarxisti
Luigi Pasinetti Università Cattolica di Milano
Alessandro Roncaglia Università di Roma La Sapienza
Massimo Pivetti Università di Roma La Sapienza
Fanno parte di questo gruppo Pierangelo Garegnani (Roma Tre), Luigi Pasinetti (Cattolica di Milano), Massimo Pivetti (Roma, La Sapienza), Giancarlo De Vivo (Napoli "Federico II"). Il gruppo di Garegnani si riunisce al Centro Ricerche "Piero Sraffa", presso l'Università Roma Tre. Rientrano in questa scuola anche Neri Salvadori (Pisa) e Maria Cristina Marcuzzo (La Sapienza di Roma).
Sraffiani
Ugo Pagano Università di Siena
Adriano Giannola Università Federico II di Napoli
Riccardo Realfonzo Università del Sannio
In Italia sono gli allievi di Augusto Graziani (La Sapienza di Roma): presso l'Università del Sannio sono attivi Riccardo Realfonzo e Giuseppe Fontana, mentre alla Federico II di Napoli ci sono Adriano Giannola (da poco presidente della Svimez) e Lilia Costabile. Vicini sono Marcello De Cecco (Roma, La Sapienza), Paolo Leon (Roma Tre), Alessandro Vercelli (Siena). Dialogano con la scuola postkeynesiana istituzionalisti eterodossi come Ugo Pagano (Università di Siena)
Postkeynesiani
INTERVENTISTI
Non credono nell'equilibrio del mercato: necessario l'intervento pubblico con un mix di politiche fiscali e monetarie espansive
Aldo Montesano Università Bocconi di Milano LIBERISTI
Il mercato assicura equilibrio
tra domanda e offerta. Le politiche fiscali sono efficaci solo nel breve
e dannose nel lungo periodo
Sintesi neoclassica
La Bocconi di Milano è il centro della ricerca mainstream in Italia: vi insegnano Guido Tabellini, Francesco Giavazzi e Roberto Perotti. Alberto Alesina insegna ad Harvard, Fiorella Kostoris Padoa Schioppa alla Sapienza di Roma e Marco Pagano alla Federico II di Napoli. Alla Bocconi insegna anche Tito Boeri. Riconducibili al mainstream anche Luigi Zingales (università di Chicago), Luigi Spaventa (La Sapienza di Roma) e Marcello Messori (Tor Vergata).

Alberto Alesina Università di Harvard
Roberto Perotti Università Bocconi di Milano
Monetaristi
È la scuola che fa riferimento a Milton Friedman. Vi rientra l'ex ministro Antonio Martino e per alcuni contributi Franco Spinelli (Brescia). Aperti al monetarismo gli economisti nelle banche centrali, come Tommaso Padoa Schioppa e Lorenzo Bini Smaghi. Alla estremità della impostazione neomonetarista Alberto Bisin e Michele Boldrin, che insegnano negli Usa.

Alberto Bisin New York Unversity
Michele Boldrin Washington University
Neoaustriaci
Le posizioni ultraliberiste della scuola neoaustriaca che ha sviluppato le tesi di Mises e Hayek. I neoaustriaci italiani trovano un punto di riferimento nell'Istituto Bruno Leoni, il cui presidente onorario è Sergio Ricossa. Ricossa e lo scienziato delle finanze Domenico Da Empoli (Roma "La Sapienza") sono membri della Mont Pelerin Society fondata da Hayek. Studioso delle posizioni neoaustriache è, tra gli altri, Carlo Zappia, dell'Università di Siena.
Sergio Ricossa Presidente dell'Istituto Bruno Leoni Carlo Zappia Università di Siena
Domenico Da Empoli Università di Roma La Sapienza

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