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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2010 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 15 luglio 2010 alle ore 09:10.
È necessaria una svolta nel Mezzogiorno, questo è il ritornello dell'estate 2010. I politici del Sud e i meridionalisti di lungo corso per "svolta" intendono l'apertura dei rubinetti della spesa pubblica destinata alle regioni meridionali, i fondi del Fas. Le riflessioni sulla composizione della spesa restano nell'ombra, ovvero riprendono motivi gettonati ai tempi dell'intervento straordinario (grandi infrastrutture, il mito dell'industrializzazione a ogni costo)
.Oggi come ieri, eternamente rinascono gli stessi temi che avevano una ragione d'essere negli anni 50 e 60 ma che nell'attuale scenario internazionale appaiono svuotati di senso. Anche perché il libro dei sogni della programmazione regionale trascura sistematicamente la scarsa capacità delle amministrazioni locali di tradurre "le azioni-cardine" in progetti operativi. E intanto il federalismo fiscale avanza con la sua promessa di accrescere la responsabilità dei territori accompagnata da un'immediata contrazione delle risorse destinate a garantire i diritti di cittadinanza dei meridionali. Una grande opportunità per il Sud che rischia però di tramutarsi nella consacrazione delle miserie già evidenti.
Ma proviamo invece a dare alla parola "svolta" il significato reale: uscire dall'approccio redistributivo e risarcitorio che in una situazione economica stagnante è un gioco a somma zero. Al Sud dell'Italia, come in qualunque altra area al mondo bloccata in una condizione persistente di debolezza economico-sociale, le priorità della politica di sviluppo dovrebbero essere migliorare la qualità della vita, l'inclusione sociale, l'accesso ai servizi essenziali. Per il Mezzogiorno questi obiettivi rappresentano traguardi inediti, mai esplorati concretamente perché poco attraenti per il ceto politico, perennemente sedotto dalla sirena del "grande progetto" che poi si frantuma in una miriade di piccole istanze contingenti. Eppure puntare a costruire un territorio vivibile farebbe da argine solido alla fuga dei cervelli e delle imprese, anzi, attiverebbe un potente magnete per attrarre le risorse esterne. Allora concentriamo l'attenzione sui servizi collettivi e sui sistemi di protezione sociale in senso ampio, dall'istruzione alle politiche attive per il lavoro.