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Il marketing: «Lo vendo come un dentifricio»

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2010 alle ore 08:03.

«So di dire una cosa che infastidisce chi lavora nell'editoria, ma per me il marketing è il marketing: non esiste una specificità di settore, io ho fatto esperienze in molti altri settori e continuo ad applicare gli stessi principi». Susan Clark, managing director e marketing director per l'area Cemea (Europa centrale e dell'Est, Medioriente e Africa) dell'Economist Group, esordisce così presentando i risultati dell'anno fiscale 2010 del gruppo inglese: i ricavi sono cresciuti del 2% a 320 milioni di sterline, l'utile operativo ha raggiunto i 58 milioni (+3%) e il margine operativo si è attestato al 18% (+0,2% rispetto all'esercizio 2009). Poi però aggiunge: «A dire il vero una specificità dell'editoria c'è: a differenza di quanto accade, per esempio, nel settore automobilistico, noi persone del marketing non abbiamo controllo sul prodotto, che resta saldamente nelle mani dei giornalisti e dei direttori delle testate. A volte possiamo azzardare qualche suggerimento, ma non ci illudiamo che venga accolto e forse è giusto così: possiamo fare tutti i focus group che vogliamo ma alla fine dovrebbe essere chi scrive, chi fa materialmente un prodotto editoriale a essere in maggiore sintonia con il consumatore finale, cioè il lettore».

Su quali leve può contare, allora, Susan Clark? «La pubblicità è importante, tutte le aziende la fanno. Anche quelle che dicono di no, come Starbucks: non è forse una forma di pubblicità la loro comunicazione sul punto vendita, le loro stesse insegne, ormai parte del paesaggio urbano di moltissime città del mondo? Nel 2010 per noi la campagna più importante è stata Thinking Spaces, condotta online, che ci ha anche fatto vincere dei premi. Ma abbiamo anche proiettato uno spot nei cinema britannici e ovviamente continuato con le promozioni presso le edicole e le librerie». Nel 2009 la maggior parte dei gruppi editoriali hanno perso fatturato e reddittività, qual è il segreto dell'Economist? «La crisi finanziaria ha colpito i paesi dell'area Cemea un po' in ritardo rispetto all'America ma in modo ugualmente forte: nell'Europa continentale gli introiti da pubblicità sono scesi del 12% e abbiamo avuto difficoltà anche in Medioriente e Africa per via dei problemi economici di Dubai e della crisi bancaria nigeriana. Come risposta abbiamo dovuto tagliare i costi del 10%, introducendo cambiamenti strutturali non certo indolori. Abbiamo chiuso Cfo Europe, una pubblicazione che non era più redditizia, e l'ufficio di Vienna. Abbiamo razionalizzato le operazioni di stampa e unificato le strutture EuroFinance e Economist Conferences».

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Tags Correlati: Africa | Cemea | Economist Group | Medio Oriente | Pubblicità | Susan Clark | Svizzera | Vienna

 

Tagliare i rami secchi e allo stesso tempo investire dove serve, è questa la ricetta di Susan Clark: «Chiuso l'ufficio di Vienna, ne abbiamo aperto uno a Ginevra, che ci permette di essere vicini a un mercato come la Svizzera, sempre più importante: la nostra quota del mercato pubblicitario locale è aumentato del 10% e la conferenza che abbiamo tenuto a Ginevra "Generation X v Generation Next" ha avuto un tale successo da generare una comunità su Facebook».

Sul futuro del gruppo Economist Susan Clark è ottimista (su quello dell'editoria in generale preferisce non pronunciarsi): «In tempi di crisi i consumatori – e parlo in generale – cercano marchi forti, che li avvolgano con una sensazione di solidità, oltre che di qualità. L'Economist è uno di questi ed è un fatto che ci ha molto aiutato. Ma la vera sfida sarà mantenere gli stessi standard di qualità e affidabilità facendo convergere i contenuti digitali e quelli della carta stampata».
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