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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2010 alle ore 08:05.
Alcuni anni fa, al mio ritorno in Italia, presentai in una delle maggiori università un'analisi empirica degli effetti macroeconomici della spesa pubblica, scritta con Olivier Blanchard, oggi direttore del centro di ricerca dell'Fmi. Nel mezzo della presentazione un professore alzò la mano e disse: «Questi risultati sono di destra». Fu la mia epifania accademica: non avevo mai pensato in vita mia che un'analisi statistica dei dati potesse essere etichettata come di destra o di sinistra (ironicamente, Olivier Blanchard è il maestro degli economisti keynesiani, e uomo tutt'altro che di destra; e il lavoro in questione è da allora spesso citato a supporto delle tesi keynesiane).
In questi giorni numerosi interventi su queste pagine hanno proposto l'ennesima caratterizzazione di una supposta scuola "neo-liberista". Semplificando, ma non troppo, la rappresentazione tipica che si dà di questa scuola è la seguente: gli individui agiscono sulla base di complicati processi matematici di ottimizzazione delle proprie azioni; in un contesto in cui tutti i mercati (dei beni, del credito, del lavoro) operano perfettamente; ne consegue che gli economisti "neo-liberisti" sarebbero contrari a qualsiasi forma di intervento statale, e uniformemente avversi a qualsiasi forma di spesa pubblica.
Questa non è una caratterizzazione dei "neo-liberisti", ma una caricatura, spesso utilizzata per concludere trionfalmente che degli economisti così ottusi non avrebbero mai potuto prevedere né capire la crisi, e sono oggi inutili e screditati. Eppure, vi sono intere biblioteche di lavori scientifici in cui economisti ragionevoli cercano di investigare senza prevenzioni e con modelli spesso semplicissimi cosa succede se uno o più di decine di mercati non funzionano perfettamente, e quale sia l'intervento ottimale dello stato in questi casi. Perché vengono sistematicamente ignorati? In parte perché i critici dei "neo-liberisti" non sono al corrente degli sviluppi della disciplina negli ultimi trenta anni. Se qualsiasi lavoro dei "neo-liberisti" è sempre e solo un diabolico piano reazionario di subdoli economisti servi del padrone e votati allo smantellamento del welfare state, allora non c'è nessuno motivo per andare oltre il mondo della General Theory di Keynes e tentare di fornirsi degli strumenti per comprendere gli sviluppi recenti della ricerca.