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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2010 alle ore 16:18.
Su Il Sole - 24 ore del 18 luglio il prof. R. Perotti afferma che da parte degli avversari si farebbe "una caricatura" delle posizioni dei liberisti, "per concludere trionfalmente che degli economisti così ottusi non avrebbero mai potuto prevedere né capire la crisi, e sono oggi inutili e screditati".
Perotti forse potrebbe utilmente rileggersi un libro pubblicato nell'agosto del 2007 dai suoi colleghi A. Alesina e F. Giavazzi (autori con lui di numerosi articoli), in cui essi sostengono che "la disoccupazione cala quando … si liberalizzano i licenziamenti"; che i giovani italiani sono affetti dal "virus della scarsa ambizione", perché preferirebbero un lavoro "sicuro anche se mal pagato" a uno "meno sicuro ma con migliori prospettive di reddito"; che l'Europa ha avuto, dopo la metà degli anni Settanta, un mercato del lavoro più regolamentato che nei decenni precedenti, e che a questo è dovuto l'aumento della disoccupazione; che la "liberalizzazione finanziaria" ha avuto il merito di stimolare le banche ad abbandonare "un comodo tran-tran nel quale rischiano poco"; che "l'aumento della produttività nel settore finanziario degli Stati Uniti è stato straordinario", e che in quel paese "quasi la metà della crescita di produttività è dovuta al settore bancario e finanziario"; che è meglio che ciascun lavoratore possa scegliere da solo "la modalità che preferisce", "al fine di ottenere rendimenti adeguati", nella gestione dei fondi che dovrebbero servire a finanziare la sua pensione; che se il lavoratore non ne capisce nulla gli si "potrebbe impartire un breve corso di finanza … come si insegna il codice della strada, gli si fornirebbero i rudimenti della finanza, di sicuro più semplici di quelli automobilistici".
E' forse per cercar di prendere le distanze da queste posizioni – di cui sarebbe difficile fare una caricatura – che Perotti inizia il suo intervento indossando un cappello keynesiano, e cita un suo articolo scritto con Blanchard a sostegno dell'utilità della spesa pubblica a fini anticongiunturali. Peccato che Perotti trascuri di ricordare come un paio di mesi fa ribadisse, insieme ad Alesina, che "la teoria, e in parte l'evidenza empirica, confermano l'idea che il moltiplicatore [keynesiano] sia piccolo, se non addirittura negativo" (pur aggiungendo subito dopo, forse nel tentativo di cautelarsi, che "su questo punto c'è molta incertezza"). E in effetti, nonostante i suoi toni, sembra che il germe del dubbio si stia insinuando nelle certezze econometriche del prof. Perotti. Egli parla infatti di grandi risultati, ma evita di citarne alcuno: rimbrotta i rozzi economisti che per stabilire quale sia la relazione tra il PIL e la spesa pubblica si limiterebbero a "guardare il grafico delle due serie", ma non ci dice cosa la sua "analisi statistica più sofisticata" abbia scoperto, oltre al fatto che "non vi sarà mai certezza". In ultima analisi, Perotti ritiene che il "vero grande progresso della scienza economica degli ultimi trenta anni" consisterebbe nell'affinamento degli strumenti usati, e non in quello che tali strumenti permetterebbero di vedere: come se Galileo fosse grande per i miglioramenti da lui apportati al cannocchiale, e non per la scoperta, fatta anche grazie ad esso, delle lune di Giove.