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La lunga estate di Fini leader senza impazienza

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 08:53.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2010 alle ore 08:54.

Alla vigilia della pausa estiva il presidente della Camera Gianfranco Fini ha continuato a smarcarsi dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi giocando in attacco sul filo del fuorigioco: un modulo calcistico che prevede un notevole dispendio di energie e dunque richiede uno stato di forma impeccabile e una continua attenzione ai movimenti d'insieme dei giocatori in campo.

Negli ultimi giorni il presidente della Camera ha sollevato più volte i temi della questione morale e della legalità, ribadendo il concetto che la politica deve essere intransigente e drastica verso «comportamenti scarsamente in sintonia con l'etica pubblica e il rispetto delle regole». E ieri ha invitato a distinguere «la giusta tutela del garantismo, perché si è innocenti fino al terzo grado, dall'opportunità, in certi casi, di continuare a mantenere incarichi politici quando si è indagati».

Le parole di Fini hanno avuto una particolare incisività per almeno tre ragioni. Anzitutto, perché le prime dichiarazioni sono giunte dopo l'anniversario della morte di Paolo Borsellino, che il presidente della Camera ha scelto di trascorrere a Palermo. In molti hanno notato che invece Berlusconi ha preferito, nelle stesse ore, ritirare a Milano un premio della Provincia in suo onore: durante la cerimonia, don Luigi Verzé lo ha celebrato riecheggiando una formula lontana e infelice, come uomo «mandato dalla Divina provvidenza per salvare il paese».

Ma le frasi di Fini hanno colto nel segno, anche perché sono arrivate nei giorni in cui stanno emergendo i maneggi di un comitato di affari che coinvolge i vertici nazionali del Pdl; poco tempo dopo le dimissioni da sottosegretario al Tesoro, ma non dalla carica di coordinatore del partito in Campania, di Nicola Cosentino sul quale pende una richiesta di arresto per concorso esterno in associazione camorristica. Una settimana dopo, infine, in cui è passato quasi sotto silenzio l'episodio forse più clamoroso, vale a dire le dimissioni di un assessore della Lega di Pavia, accusato di collusioni con la 'ndrangheta.

In secondo luogo, le dichiarazioni di Fini sono significative giacché ribadiscono l'asse istituzionale con il presidente della Repubblica Napolitano che proprio nei giorni scorsi, in analoga cerimonia, ha pronunciato parole allarmate e indignate contro «l'emergere di fatti di corruzione e trame inquinanti da parte di squallide consorterie » emerse negli ultimi tempi.

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Tags Correlati: AN | Enrico Berlinguer | Eugenio Scalfari | Gianfranco Fini | Italia | Lega | Luigi Verzé | Ministero del Tesoro | Nicola Cosentino | Paolo Borsellino | Partito Comunista Italiano | PDL | Silvio Berlusconi

 

Infine, l'azione del presidente della Camera ha aperto un effetto a catena dentro il Pdl culminato con la richiesta di deferimento ai probiviri del suo uomo Granata, reo di avere accusato pezzi dello stato e del governo di ostacolare le indagini sulla strage di via D'Amelio; a cui è seguita ieri la richiesta delle dimissioni di Verdini dalla carica di coordinatore del partito da parte di Fini stesso.

In qualche misura, con la messa in campo della questione morale, siamo alla chiusura di un cerchio tracciato da tempo: Fini ha assunto una terminologia che nel linguaggio pubblico italiano richiama in modo inequivocabile al leader comunista Enrico Berlinguer che la sollevò nel corso di una celebre intervista a Eugenio Scalfari nel 1981, contro i partiti di governo. Certo, quelle parole erano il sintomo di una chiusura identitaria e di un arroccamento a difesa di una presunta diversità comunista che costituiva il segno di un deficit d'iniziativa politica, ma allo stesso tempo rispecchiavano in pieno l'affidabilità e l'integrità morale del segretario del Pci.

Fini, però, diversamente da Berlinguer, ha sollevato il tema della questione morale rispetto al suo sistema di riferimento, all'indirizzo della propria maggioranza con effetti dunque potenzialmente più esplosivi. Tuttavia, la posizione del presidente della Camera è rivelatrice allo stesso tempo della forza e della debolezza della sua attuale linea politica, che si svolge in una fase piena di incertezza in cui non è chiaro, forse neppure a lui, se resterà dentro il Pdl, sosterrà un giorno la maggioranza dall'esterno oppure prenderà altre imprevedibili strade. Da un canto, infatti, il tema della legalità, seppure utilizzato contro alcuni esponenti del Pdl e del governo, non è un argomento di rottura ma si colloca all'interno della cultura legalitaria prima del Movimento sociale e poi di An, ossia nel segno della continuità di un messaggio che serpeggia dal '93 in poi: noi siamo con Berlusconi, ma diversi. Fini in questo modo coglie un problema reale perché l'Italia è forse l'unico paese al mondo in cui essere e dirsi di destra non è sinonimo di legalità, merito, rigore, laicità dello stato. Insomma, l'obiettivo del presidente della Camera sarebbe quello di dimostrare che un'altra destra è possibile, istituzionale, laica e repubblicana, ma il problema è che solo i voti, e non le petizioni di principio, potranno forse un giorno dimostrarlo.

Dall'altro canto, il tema della questione morale strizza l'occhio all'elettorato progressista ribadendo la paradossale situazione per cui oggi Fini è un leader della destra che riscuote i suoi maggiori consensi a sinistra e sembra quasi che stia costituendo le premesse di un suo prossimo ambito di azione fuori dal perimetro dell'attuale governo. Per dare forza a questa tendenza è costretto a una cannibalizzazione semantica di alcune idee guida della cultura progressista italiana che lo rendono oggettivamente distanze dal suo elettorato di riferimento su temi sensibili quali l'immigrazione («è uno stronzo chi dice che gli stranieri sono diversi»), l'integrazione («chi nasce in Italia è italiano»), l'antifascismo («la destra deve riconoscersi nei valori antifascisti») e la Resistenza («i resistenti stavano dalla parte giusta, i repubblichini dalla parte sbagliata»).

Insomma, il cerchio si sta chiudendo, ma Fini dovrebbe evitare di rimanerne prigioniero: a ben guardare la pausa estiva giunge provvidenziale per ritemprare le forze in vista della nuova stagione e per darsi obiettivi più coerenti e credibili perché, a forza di giocare in attacco sul filo del fuorigioco, si rischia, prima o poi, di prendere gol in contropiede e Berlusconi di calcio se ne intende.

miguel.gotor@unito.it

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