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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 07:49.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2010 alle ore 08:39.
Finché era solo un'idea, o meglio una proposta politica avanzata (a maggio 2010) dal Pd di Pierluigi Bersani, ha galleggiato in una sorta di zona grigia, tra qualche alzata di spalle, consensi modesti e una serie di "no" scontati ma nemmeno troppo coloriti.
Poi, col passare delle settimane, all'avvicinarsi dello sbarco della riforma dell'università in Parlamento, l'idea si è fatta largo e ha conquistato un maggiore spazio politico e mediatico. E quando sembrava ormai di nuovo sorpassata, bocciata dal governo in commissione al Senato, eccola riafforare (in versione addirittura bipartisan) per bocca del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini.
Sì, ha spiegato la Gelmini, l'ipotesi di anticipare a 65 anni l'età della pensione per i professori universitari è una buona cosa e consentirebbe all'Italia di allinearsi al resto d'Europa. In ogni caso, non è tollerabile che si consenta ai professori di aggirare facilmente il limite di legge previsto oggi: dopo i 70 anni si va a casa, ha detto il ministro, «senza se e senza ma, altrimenti si penalizzano i giovani».
Apriti cielo, come si dice. Anticipare a 65 anni l'età della pensione dei professori universitari, lobby (naturalmente, anche di potere, e non solo accademico) tra le più influenti? Ma non se ne parla. Cos'è, uno scherzo? Protesta ufficialmente il Consiglio universitario nazionale: la proposta non è inserita in un disegno organico di riforma dello stato giuridico dei docenti. S'inalbera l'Associazione dei docenti universitari: è un «grande imbroglio». In Parlamento cresce l'onda (anch'essa bipartisan) contraria: che facciamo, mandiamo via i luminari?
C'è anche chi (il professor Luciano Canfora sul Corriere della sera di domenica scorsa) vede il diluvio finale iniziato nel '68: con «la cacciata della vecchia guardia docente» formatasi quando ancora esisteva un livellamento verso l'alto delle università finiranno per affermarsi definitivamente quelle disuguaglianze che si volevano combattere. Altri professori mettono l'accento sulla dispersione di esperienze fondamentali e sul fatto che una proposta del genere, "alla francese", risponde solo a un criterio contabile di ricambio generazionale.